Cosa significa essere felici? Se si pone questa domanda a dieci persone avremmo in risposta dieci idee differenti. C’è chi pensa che per essere felici basti essere in buona salute e non avere problemi economici; altri pensano che sia importantissimo possedere oggetti indispensabili (auto, casa, gioielli, vestiti firmati). Per altri, invece, essere felici significa avere beni meno materiali, come ad esempio una famiglia, l’amore di una persona cara, amici, assenza di problemi e difficoltà.
L’assenza di preoccupazioni, o comunque, l’assenza di dolore è la condizione necessaria, secondo Arthur Schopenhauer, per essere felici. Nel libretto L’arte di essere felici, sono contenuti aforismi e massime su ciò che per il filosofo tedesco contribuisca a rendere felice l’uomo. Idee che potrebbero sembrare in contraddizione con il pessimismo imperante della sua filosofia, ma che portano chi legge a concepire l’idea di felicità come un qualcosa di transeunte e di difficilmente realizzabile. Secondo Schopenhauer bisogna assolutamente evitare l’invidia, causa prima dell’infelicità ed insoddisfazione umane, come pure desiderare beni che non si possiedono ed aspirare a sogni e situazioni difficilmente realizzabili. In caso di disgrazie o circostanze spiacevoli, è meglio non pensare che le cose sarebbero potute andare in maniera diversa, ma accettare di buon grado e sopportare ciò che la sorte ha predisposto per noi. In definitiva, secondo il filosofo de Il mondo come volontà e rappresentazione, “l’uomo saggio non persegue ciò che è piacevole, ma l’assenza di dolore”.
Martin Seligman, invece, crede che per poter conseguire la felicità bisogna avere un atteggiamento totalmente positivo nei confronti della vita e delle situazioni che essa ci pone di fronte. Nel suo testo Authentic Happiness: Using the New Positive Psychology to Realize Your Potential for Lasting Fulfillment, Seligman spiega che bisogna costruire la propria esistenza cercando di individuare circostanze e modi di vivere che ci portano a gioire e ad avere un’attitudine positiva verso persone e frangenti esistenziali. Il tutto finalizzato ad irrobustire forza e virtù vitali per raggiungere “l’autentica felicità”.
Per Brené Brown, d’altro canto, non bisogna essere forti a tutti i costi, ma dare valore e significato anche alle nostre debolezze ed imperfezioni, anch’esse funzionali al raggiungimento di una felicità duratura. In The Gifts of Imperfection: Let Go of Who You Think You’re Supposed to Be and Embrace Who You Are, Brown spiega quanto sia necessario accettarsi per ciò che si è, e non per ciò che ci è stato detto o imposto di dover essere. Limiti ed incertezze sono tratti essenziali della nostra individualità e, in quanto tali, sono in grado di farci comprendere la nostra identità ed unicità. Lasciando da parte rigorismi e maniacalità, abbracciando il nostro innato bisogno di appartenere a qualcuno e prima di tutto a noi stessi, Brené Brown ci invita a prendere coscienza della fallacità delle nostre azioni ed intenzioni, e ad accettare quelli che lei definisce “i doni dell’imperfezione”, i soli in grado di aprirci la strada ad una piena coscienza di sé e alla felicità perseguita seguendo i nostri desideri, non quelli degli altri.
Per il Dalai Lama, d’altra parte, la nostra felicità non può essere separata da quella altrui poiché il nostro benessere e godimento esistenziali vanno conseguiti vivendo in simbiosi con l’altro. Per questo, nel testo The Art of Happiness, il Dalai Lama individua nella “compassion”, la comprensione reciproca, la prima e l’ultima fonte della felicità. Una compassione da donare e ricevere quotidianamente, gratuitamente.