«I contadini risalivano le strade con i loro animali e rifluivano alle loro case, come ogni sera, con la monotonia di un’ eterna marea, in un loro oscuro, misterioso mondo senza speranza. Gli altri, i signori, li avevo ormai fin troppo conosciuti, e sentivo con ribrezzo il contatto attaccaticcio della assurda tela di ragno della loro vita quotidiana; polveroso nodo senza mistero, di interessi, di passioni miserabili, di noia, di avida impotenza, e di miseria.»
Nato a Torino il 29 settembre 1902, Carlo Levi fu pittore di rilevo, scrittore e intellettuale di sinistra; fin da ragazzo coltivò la passione per la pittura, arte che lo accompagnò per tutta la vita e che gli permise anche di esprimere l’esperienza del confino.
Nel 1917 si iscrisse alla facoltà di medicina a Torino: il periodo degli studi universitari fu denso di stimoli e di occasioni per il giovane Levi che, grazie all’influenza dello zio Claudio Treves, ebbe modo di conoscere i principali esponenti della sinistra dell’epoca e quelli dell’avanguardia pittorica torinese. Iniziò infatti a collaborare con Pietro Gobetti alla rivista La Rivoluzione Liberale e nel 1923 soggiornò a Parigi, dove il contatto con la pittura francese gli permise di concepire l’arte come strumento per opporsi alle logiche del fascismo e della cultura italiana. In seguito a questo viaggio, inoltre, Levi decise di seguire la propria vocazione artistica: pertanto, dopo essersi laureato in medicina non esercitò la professione di medico, preferendo dedicarsi alla scrittura e alla pittura, al punto che nel 1928 entrò a far parte del gruppo dei “Sei di Torino”, un movimento di pittori a cui aderirono anche Gigi Chessa, Nicola Galante, Francesco Menzio, Enrico Paulucci e Jessie Boswell. Il teorico del gruppo, Edoardo Persico, proponeva un genere di pittura in netta opposizione a quella del futurismo e del fascismo, proponendo un’arte che si rifacesse alla pittura ottocentesca e ai Fauves; proprio questi tratti si ritrovano non solo nella pittura, ma anche nella poetica di Levi.
Nel 1931 lo scrittore aderì al movimento Giustizia e Libertà e per le sue posizioni antifasciste fu confinato dal 1935 al 1939 in Lucania, prima a Grassano e poi ad Aliano: da quest’esperienza nacque il celeberrimo Cristo si è fermato ad Eboli (1945), documento memoriale e saggio antropologico. In esso l’autore racconta la propria scoperta della realtà meridionale, descrivendo un mondo contadino ancestrale e magico, estraneo alla storia e ad ogni coscienza politica, denunciando così le condizioni di vita di una realtà contadina ignorata e dimenticata dalle istituzioni. Alla permanenza forzata in Lucania Levi dedicò inoltre alcune poesie (Bosco di Eva, L’invenzione della verità) e numerosi quadri, da cui emerge un personale realismo.
Nel 1943 aderì al Partito d’Azione, dirigendo La nazione del Popolo, e nel dopoguerra continuò l’attività di giornalista come direttore del quotidiano Italia Libera e collaborando con La Stampa. All’attività di pittore neorealista affiancò la scrittura di altri romanzi: L’orologio (1950), che descrive la crisi del fervore esistenziale nel dopoguerra, Le parole sono pietre (1955), racconto di un viaggio in Sicilia, Tutto il miele è finito (1964), in cui è descritto il mondo sardo, Il futuro ha un cuore antico (1956), dedicato all’Unione Sovietica, e La doppia notte dei tigli (1959), impressioni di un viaggio in Germania.
In seguito, Levi decise di dedicarsi alla politica attiva, militando nelle fila del partito comunista, sperando in questo modo di poter incidere sull’immobilismo e sul conservatorismo della politica italiana. Morì a Roma il 4 gennaio 1975 e, per suo desiderio, fu sepolto ad Aliano, il paese in cui soggiornò durante il confino, dove ritornò varie volte anche nel dopoguerra.
L’orientamento politico influenza sicuramente il modo in cui Levi osserva e tratteggia il mondo contadino, tema prevalente nelle sue opere: infatti, l’autore porta alla ribalta le problematiche connesse alle terribili condizioni in cui versava quella realtà scomoda e per questo ignorata. Tuttavia, anche il fondo irrazionalistico della personalità artistica dell’autore influenza il rapporto con il popolo contadino descritto: Levi infatti subisce il fascino di un mondo mitizzato e vagheggiato per la sua dimensione primitiva. Inoltre, in quell’universo contadino arcaico lo scrittore riconosce alcuni tratti ancestrali che ritrova nel proprio inconscio, perciò è come se nel mondo contadino Levi ritrovasse una parte di se stesso, identificandosi con questa umanità elementare. È soprattutto un’opera come Cristo si è fermato ad Eboli che rivela questa duplicità della poetica dello scrittore: accanto alla polemica politica e sociale vi è un soggettivismo e una volontà di autoconoscenza, mediante l’identificazione con i personaggi che animano il mondo descritto.