Il modo migliore per dare risalto a un elemento è quello di dissimularlo, occultarlo, celarlo fra mondi che esprimano il suo esatto contrario. Se si tratta poi dell’elemento magico basta dipingere con insistenza uno spazio imbevuto di banale e scontata quotidianità per mostrare questa magia in un secondo momento, all’improvviso, più inaspettata che mai e più forte e credibile che mai. Un grazie detto da un cafone, per natura quindi schivo e maleducato, assume molto più valore di quello del bravo ragazzo, sempre a modo ed educato. Almeno questo potrebbe essere il parere di chi ha sostenuto ed alimentato con le sue pagine la validità di questo ossimoro: il realismo magico.
Il realismo magico nasce prima di tutto come corrente pittorica in Europa negli anni venti del novecento per poi svilupparsi nell’ambito della letteratura. Lo spazio-tempo di questo “mutamento artistico” è l’America latina degli anni sessanta e il romanzo capostipite di questo movimento letterario, che per alcuni critici è soltanto una sottocategoria del postmodernismo, può essere considerato senza dubbio “Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcia Marquez. Pubblicata nel 1967, la storia immaginaria della famiglia Buendìa attraversa la storia colombiana di un secolo, la narrazione si fa dapprima cronachisticaa, descrivendo comportamenti assolutamente realistici, per poi passare al racconto fantasy con i suoi bambini nati con la coda di maiale, i suoi morti che rivivono e le sue scimmie ammaestrate che indovinano il pensiero. Lo spiazzamento del lettore risulta evidente ed è proprio questo contrasto a conferire valore all’illusorio e al trascendente.
Altri autori hanno cavalcato poi questo stile letterario e tra questi uno non meno interessante è senza dubbio il giapponese Haruki Murakami, anzi no, pardon, Murakami Haruki. Murakami Haruki ha spinto il realismo magico oltre ogni limite rendendo il contrasto di cui sopra ancora più marcato. Le sue rappresentazioni del reale, se considerate al di fuori del contesto unitario delle sue opere, appaiono addirittura fastidiose e petulanti quando indugiano minuziosamente sulle vicende domestico-familiari. Per intenderci Haruki non si pone di certo dei problemi se il lettore deve passare minuti interminabili tra lattine di birra, sandwich, hamburger e sakè. Tutto purché la potenza devastante della dimensione onirica e surreale giunga al momento giusto, pregna di sorpresa e carica di un senso nuovo che trova il sostegno nella sua sapiente collocazione e nella parsimonia ed oculatezza del suo uso. Mai la moderazione era stata tanto sconvolgente!