Giuseppe Miale di Mauro, classe 1975, napoletano. Diplomato all’Accademia d’arte drammatica, oggi attore, autore e regista teatrale. Uomo eclettico e talentuoso, ha pubblicato nel 2012 il suo primo romanzo: “L’ultima volta che mi sono emozionato”. Il titolo del libro ha catturato la mia attenzione, forse per un’innata inclinazione verso la parola “ultimo/a”. Due ore intense; ho divorato le pagine dimenticandomi del resto. Alla fine dell’ultimo rigo, ho ripreso a respirare. Un piccolo capolavoro, una poetica fotografia della vita di un attore di teatro fagocitato dalla routine, sbeffeggiato dalla vita, schiacciato dalla paura.
Andrea Castiglia recita la parte di Otello in uno spettacolo teatrale: è il protagonista, osannato e capace, che conosce a memoria la sua parte, dopo centinaia di repliche. Nonostante il temperamento burbero e solitario, l’attore è riuscito a far innamorare Rosita – Desdemona -, una giovane ragazza ingenua e ancora indenne dai colpi barbari che a volte riserva la vita. Andrea è sul palco, pronto a recitare il monologo finale; la sua Desdemona giace sul letto e gli occhi del pubblico sono tutti sui due attori, i cuori in attesa. In quel momento accade qualcosa: l’attore si blocca, le parole gli restano in gola. Attimi di panico per tutti quelli dietro le quinte e di stupore per quelli in tribuna. Ecco però che Andrea si sblocca, conclude lo spettacolo e ancora disorientato scappa via, mentre gli altri attori si apprestano a recarsi in un ristorante, dopo aver svolto quasi meccanicamente il loro compito.
È a questo punto che si inizia a conoscere un po’ meglio Andrea: alcolizzato, beve e beve tanto per riscaldarsi dentro e fuori. Si fa compagnia con le bottiglie e squallidi filmini porno nella camera di un albergo, mentre con uno sforzo fisico e psicologico cerca di dare un senso a quanto appena successo. Arriva Rosita, vorrebbe consolarlo; i due tentano invano di avere un rapporto sessuale, ma Andrea è fisicamente e moralmente KO. Mentre sfiora la ragazza gli tornano in mente la madre e Francesca M., gli risuona soprattutto il suo giudizio finale: ti ritroverai a scoparti le ragazzine. Perché solo loro non ti chiederanno mai di assumerti delle responsabilità. E a te andrà bene così, perché sei un immaturo e non cambierai mai. E io non ci voglio stare più insieme a uno come te. Il bisogno più grande è la solitudine totale, per dare tregua a un mal di testa invadente e alle troppe domande che meritano una risposta. Ad un tratto, però, Andrea ha un’illuminazione: durante lo spettacolo, dopo anni, si è emozionato. Quella sensazione ormai dimenticata, è riemersa con forza e l’ha costretto a paralizzarsi. È vita che ritorna, sono i battiti che urlano forte per farsi sentire da tutto l’organismo. E quello che ci è apparso per metà romanzo un alcolizzato, acido e cinico attore, ci appare più umano. Andrea è solo un uomo a cui le cose non sempre sono girate per il verso giusto; talentuoso, non è riuscito a cogliere le occasioni che gli si sono presentate; meno che mai in amore: Francesca, la piccola luce che ha illuminato i suoi anni migliori, si è spenta proprio la sera in cui, sbattendo la porta, l’aveva lasciato per le sue troppe paure: paura di responsabilizzarsi, di entrare fino in fondo nel rapporto, di avere un figlio. È alla vita che l’attore si ribella con l’autodistruzione. Eppure la vita è sempre più forte di ogni decisione umana, sempre imprevedibile.
Non è una storia a lieto fine, però.
È un libro amaro, malinconico, profondo. È un libro che ha una morale: le cose importanti,essenziali, vanno difese dagli attacchi esterni e dalle inutili paure. Nulla dura per sempre e, per quanto possa far male, l’unica cosa che vale la pena fare è vivere, davvero.