ho acquistato “Io vi maledico” per curiosità, l’ho letto a morsi, finito quasi piangendo di rabbia. E da quando l’ho chiuso continuo a pensare alle domande che vorrei farti.
Siamo –me lo riferisce Wikipedia- coetanee ed entrambe madri: ed è da questo punto che si dipana la mia lettera.
Mi sono resa conto, non subito, ma solo verso la fine del libro, che la maggior parte delle voci che dalle righe che hai scritto si levano con fermezza e coraggio, pur nella disperazione, sono voci femminili. E di queste donne indichi sempre quanti figli hanno: sindache o pentite di mafia, pugliesi o della Val di Susa, vedove o orfane, di tutte loro ci dici che sono principalmente madri. Chi ha salvato il figlio dal crollo di un edificio, chi dai test sulla rabbia, chi da una faida senza fine.
L’unico uomo a parlare di suo figlio è Stefano, che ne parla perché Biagio è morto giovane senza una ragione (ammesso che ne esista una per giustificare la morte di un figlio). E forse ne parla perché la madre non ha più voce per nominare quel figlio rubato, senza futuro.
Questo coro da tragedia greca a voci femminili mi lascia perplessa e sgomenta a pensare che noi donne sembriamo le Cassandre di noi stesse. È vero, intervisti anche uomini, ministri e piccoli industriali, fumettisti e operai che ci parlano di un futuro fatto di lavoro e di mercato, un futuro al singolare, perché di loro non sappiamo se hanno discendenti. Delle donne, sì, come se per noi i figli facessero parte di un corredo genetico imprescindibile, delle caratteristiche somatiche da riportare sulla carta d’identità: bionda, occhi castani, due-tre-quattro figli. Come se ci appartenessero e ai padri spettasse solo mantenerli o piangerli.
Non hai avuto l’impressione –da giornalista e da madre- che per salvaguardare la vita, la salute, il futuro dei figli abbiano trovato parole le madri soltanto? E incontrandole hai avvertito l’impatto oscuro, prepotente della voce alzata a scudo degli inermi?
E non ti meraviglia mai che l’appannaggio della politica non spetti alle donne –e quanto lo dimostra ancora una volta le scelta dei “saggi” effettuata dal presidente Napolitano- vista la loro precoce capacità di esprimersi attraverso la loquela? Ma non posso divagare: per scrivere dei “territori interdetti”alle donne sarebbe necessaria una serie di tomi, non una lettera.
Le donne di cui racconti la storia (o la storia dei loro figli, mariti, padri) smuovono il mondo, stravolgono la loro vita o la rischiano per assicurare alla prole un futuro nella propria terra, senza fughe , senza vergogne. Noi nel frattempo assistiamo allo sfaldamento progressivo e rapido delle nostre certezze, delusi e sconfitti, senza saper che fare per uscire da questo stato di frustrazione e impotenza.
Non ti nascondo –con un certo imbarazzo- che quest’anno per la prima volta non ho votato. Come si è visto dai risultati, non sono stata la sola, ma semplicemente non avrei saputo “per chi” votare. Non parlo di idee, in fondo so chiaramente cosa vorrei per me, per noi: una società equa, che permetta uno sviluppo armonico di tutti i suoi componenti, nella democrazia e nella libertà di espressione. Penso che siano mancati gli uomini capaci di trasformare le mie idee in tronchi e poi in assi e nave, infine, diretta verso un porto sicuro.
Ma nonostante questo un tarlo mi rode, ancor più ora che siamo in bilico tra un mezzogoverno morente e un governicchio nascente (dopo molti governi quaquaraquà): cosa potrei fare, come posso agire, far sentire la mia voce per difendere le mie figlie, i tuoi figli dall’ignoranza, dal distacco, dalla filosofia dell’orticello? Tu te lo chiedi mai? E se sì, hai mai trovato una risposta a queste perplessità?
Quel che mi chiedo e ti chiedo, Concita, alla fine sono sicura che tu ed io insegniamo giustamente ai nostri figli a farsi da soli il borsone da rugby o la sacca per la danza, ma come possiamo, in questo periodo impastato di ansia e di incertezza, insegnare loro anche ad essere buoni cittadini quando noi stessi non sappiamo più come esserlo?
Un saluto,
Francesca