Una vita intensa, errabonda e spietata quella di Rina Faccio, questo il vero nome di Sibilla Aleramo, che ha vissuto lo scorcio tra due secoli.
Nata nel 1876 ad Alessandria da padre Ingegnere e madre casalinga, e maggiore di quattro figli, Rina visse gli anni di infanzia nella spensieratezza tipica di una fanciulla curiosa ed arguta. Quando la famiglia per volere paterno si trasferì da Milano a Civitanova Marche, la futura scrittrice era appena adolescente e fu nel periodo immediatamente successivo a questo trasferimento che la sua esistenza spensierata terminò bruscamente. Il male interiore della madre che la portò ad un tentato suicidio e poi al manicomio, la relazione extraconiugale del padre ma soprattutto lo stupro che subì, quindicenne, da un impiegato della fabbrica di cui lo stesso padre era direttore sono per molti critici dell’opera della Aleramo, le chiavi interpretative di quelle esperienze eccessive e sui-generis che sperimenterà nel corso del primo mezzo secolo del “900. Nel suo primo libro “Una Donna”, pubblicato nel 1906 e fortemente suggerito da Giovanni Cena ,all’epoca suo mentore e compagno, la Aleramo analizzò, sottoforma di racconto, la sua vita ripercorrendola con scrittura lieve ma talentuosa narrandone le vicende sino alla drammatica decisione di abbandonare tutto, di spezzare la “mostruosa catena della immolazione materna”. Così si scopre come la giovane Rina in seguito allo stupro venga costretta dalla famiglia a sposare l’uomo che atrocemente le fece scoprire la sessualità; un matrimonio riparatore come si conveniva all’epoca e dal quale anni dopo nacque il primo figlio, Walter, che per la giovane rappresenta forse l’unico scampo ad una relazione priva di amore e rispetto con un uomo padrone, rozzo ed incolto che mostra ostilità alle inclinazioni della moglie per la lettura nonché alla sua esaltazione dei primi, timidi diritti delle donne. C’è poi il dolore, intenso, vorticoso ma quasi catartico nell’abbandono del suo bambino “Se io partivo , egli sarebbe stato orfano, poiché certo mi sarebbe strappato. Se restavo? un esempio avvilente per tutta la vita: sarebbe cresciuto anche lui tra il delitto e la pazzia”(Una donna, cit.). Una Donna fu metaforicamente lo spartiacque della visione femminile sino ad allora concepita. Le donne erano di proprietà dell’uomo e ad essi soltanto ed ai figli dovevano essere proclivi. Per questo motivo la drammatica vicenda della Aleramo, raccontata non senza ingoiare molte lacrime, diventò un manifesto ed un appiglio per coloro che non volevano più celare le proprie capacità e desideri.
Con l’avvento del decadentismo e del futurismo le istanze culturali italiane ed europee interagirono vivacemente e la Aleramo non si sottrasse al prendervi parte. Lasciate le Marche e dopo un soggiorno milanese presso i suoi familiari, “la sua seconda vita” iniziò collaborando e dirigendo riviste come L’Italia femminile e poi a Roma la Nuova Antologia, e l’iscrizione alla Unione Femminile internazionale. Il legame con Giovanni Cena fece emergere il suo talento letterario ma in seguito alla rottura sperimentò una serie di esperienze incarnando appieno il motto dannunziano di rendere la sua stessa vita un’opera d’arte.Proprio ad una versione femminile del poeta vate è stata spesso paragonata per i suoi molteplici legami sentimentali, invero fugaci passioni, con artisti di grande fama come Giovanni Papini, Vincenzo Cardarelli, una passione non ricambiata per Umberto Boccioni e l’esperienza omosessuale con Eleonora Duse.
L’amore, una costante della sua vita, è qualcosa di cui Rina non poté fare a meno e viene cantato nei suoi romanzi come nelle poesie. Queste furono raccolte con il titolo di “Momenti” e “Frammenti” comprendenti liriche scritte rispettivamente tra il 1912 ed il 1921 sino al 1935. Endimione è invece il poemetto in tre atti attraverso il quale si cimentò nella letteratura teatrale, dedicato con ammirazione a Gabriele D’Annunzio. Scrisse freneticamente fin quasi agli anni “60 ed in ciascuna opera riecheggiano le avventure amorose ma anche il suo impegno politico e sociale nei confronti della lotta femminista. Tra le sue opere si ricordano i romanzi “Il passaggio” (1919), “Andando e stando” (1920),”Amo dunque sono” (1927),”Aiutatemi a dire” (1951), “Luci della mia sera” (1956).Particolare e fondamentale per il suo percorso umano ed artistico fu l’incontro con Dino Campana, un altro mostro sacro della letteratura italiana. A lei Campana dedicò versi e momenti di accesa e contrastante passione che non furono tuttavia capaci di colmare quel male dell’anima e della mente che, insidioso, interruppe la relazione con Sibilla che, mai paga di affetto, non rinunciò alla ricerca dell’amore della sua vita. Scrisse di lei un caro amico: “E’ rimasta sola perché nessuno s’è sentito mai la forza di arrivare sino in fondo alla sua anima e di sostenerla intera, quella sua anima così ricca e veggente” (Carlo Sforza, Ministro degli Esteri dal 1947 al 1952). Così negli anni della Seconda Guerra mondiale Rina conobbe il giovane Franco Matacotta e fu un nuovo scandalo. Lei era una poetessa e scrittrice affermata di 60 anni mentre lui uno studente di 20. Nemmeno in Franco trovò l’amore che aspettava ma grazie a lui, più figlio che amante, poté in qualche modo sublimare quell’amore materno a cui dovette rinunciare.Negli ultimi anni della sua vita, Rina scrisse articoli e saggi sulla questione femminile, riordinò le numerose lettere scritte e ricevute dai suoi amanti e compose altre poesie dedicate alle donne. Voglio ricordare “Donne del domani e del mondo” del 1956, quasi un testamento: “..Ora non il seme d’un uomo in me non un embrione dal mio sangue nutrito,ma nel mio spirito l’ansiosa proiezione, donna, di te,di quella che tu sarai,che lentamente si plasma s’accresce batte alle porte vuoi vivere,compiuta forma finalmente in aura di libertà e purità,donna nel domani del mondo.”
Negli ultimi anni della sua vita revisionò tutti i suoi scritti ed ebbe a cuore una sola cosa: rivedere il suo Walter. Attese invano il suo perdono ed un ripensamento sul suo conto ma quando lo rivide l’ultima volta fu una vera riconciliazione.
Raggiunta dal figlio nella sua camera d’ospedale, spirò nel suo abbraccio.
Era il 13 Gennaio del 1960 e Rina-Sibilla sarebbe stata consegnata alla storia.