E lo sognavo, e lo sogno,
e lo sognerò ancora, una volta o l’altra,
e tutto si ripeterà, e tutto si realizzerà,
e sognerete tutto ciò che mi apparve in sogno.
Là, in disparte da noi, in disparte dal mondo
un’onda dietro l’altra si frange sulla riva,
e sull’onda la stella, e l’uomo, e l’uccello,
e il reale, e i sogni, e la morte: un’onda dietro l’altra.
Non mi occorrono le date: io ero, e sono e sarò.
La vita è la meraviglia delle meraviglie, e sulle ginocchia della meraviglia
solo, come orfano, pongo me stesso
solo, fra gli specchi, nella rete dei riflessi
di mari e città risplendenti tra il fumo.
E la madre in lacrime si pone il bimbo sulle ginocchia.
Arsenij Tarkovskij
Il sogno fisso di un poeta come prefigurazione e anticipazione del domani.
Arsenij Tarkovskij, di origine ucraina, scomparso nel 1989, è stato uno dei più grandi nomi della letteratura russa in versi del XX secolo. Agli inizi della sua carriera, nel 1932, l’accusa di misticismo da parte del regime sovietico segnò l’abbandono della sua attività di scrittore, per cui il poeta fu costretto a ripiegare sull’attività di traduttore. Tuttavia finalmente nel 1962 riesce a far pubblicare la sua prima raccolta poetica. La sua è una riflessione sull’esistenza.
In questa poesia parla del tempo, tempo guardato nelle sua dimensione assoluta, un tempo interiore che va oltre la semplice misurazione, il tempo del sogno, della coscienza. I minuti che passano sono soltanto la faccia più esteriore del tempo. L’esistenza autentica si consuma dentro di noi.
Il mondo continua e i momenti si ripetono e le onde si frangono sulla riva, una dietro l’altra, in apparenza tutte uguali, e nelle onde si riflette tutto il resto. Intanto però il vivere umano fluisce in tutta la sua meraviglia.
Ecco la cifra della vita, secondo Tarkovskij, è proprio la meraviglia, intesa anche come sorpresa e come cambiamento. Il poeta allora si pone nei confronti dell’esistenza come un orfano, quasi in balia degli eventi, pronto ad accogliere tutto ciò che viene.
Tuttavia, intanto che tutto scorre, tutto inesorabilmente va, l’uomo entra in crisi, animato da una profonda angoscia. L’uomo si vede e si riconosce solo. Tutto ciò che c’è intorno, il rumore delle onde rimane esterno, troppo lontano per essere afferrato.
La chiusa della poesia rivela il dramma. L’immagine che il poeta propone lascia un lieve turbamento nel lettore. La madre che ha sulle ginocchia il suo bambino è in lacrime. Quel pianto è amaro; probabilmente sa che il suo figliolo sarà un altro orfano tra le onde.