Per alcuni è la pubblicità, per altri il passaparola, per altri ancora la copertina. E per me? Quale particolare, caratteristica o peculiarità esercita su di me la maggiore attrattiva quando scelgo un libro? Non ho dubbi: il titolo. Attrattiva o repulsa, sia chiaro, è una funzione a doppio senso.
Per anni mi sono rifiutata di leggere la saga della Torre nera di Stephen King a causa del primo dei tomi componenti la serie il cui titolo, “L’ultimo cavaliere”, è forse uno dei più fuorvianti della storia dei titoli tradotti in Italia. Tra i generi letterari, secondo il mio personalissimo gusto, il cavalleresco è l’ultimo in ordine di interesse, superato persino dalle etichette dello shampoo, e quel cavaliere, che in realtà era un pistolero, aveva avuto il potere di precludermi un intero universo.
Viste queste premesse, venuta a conoscenza di un libro dal titolo “Mi chiamo Chuck. Ho diciassette anni. E, stando a Wikipedia, soffro di un disturbo ossessivo-compulsivo” , di Aaron Karo, nulla avrebbe potuto impedirmi di leggerlo. Chuck è un adolescente sfigato, sebbene non abbastanza da essere definito un nerd, perfino i bulli non si curano di lui, ha un solo amico e una sorella odiosa. Un ragazzo come tanti se non per il fatto che Chuck si masturba sì come ogni altro ragazzino della sua età ma, al termine di ogni singolo atto, ne prende nota in un taccuino, conta le sue “pippe”, come le chiama lui, e non riesce a farne assolutamente a meno.
Le Converse, per motivi di omonimia, dapprima gli piacciono, diventano poi per lui un codice, ne colleziona a decine e le indossa di colore diverso in base all’umore. E le manie non finiscono qui: la pulizia ossessiva (in particolare lava continuamente le mani, la fissazione per le piastre elettriche dalle quali, completamente irrazionalmente, teme una fuga di gas, e fa pipì anche senza averne bisogno, molte molte volte, dal momento in cui va a letto a quello in cui effettivamente si addormenta. E se tutto questo non bastasse la gente, per quanto Chuck ne conosca poca, non riesce ad esimersi dal dirgli che lo capisce, che prova cose molto simili, come se aver paura di aver lasciato aperto il gas fosse assimilabile alla fissazione per delle piastre elettriche controllate ossessivamente alla ricerca di fughe impossibili, unitamente a tutto il resto. Empatia fuori luogo insomma.
Come dice il titolo che mi ha così tanto incuriosita, la natura del suo disturbo è appresa dal protagonista attraverso Wikipedia e confermata dalla dottoressa S., psichiatra che prenderà in cura il giovane.
Questo reietto, invisibile a scuola, incontra una ragazza dai capelli rossi e quasi sempre senza lentiggini, una bella ragazza che cambia scuola a causa del lavoro del padre, e la sua vita sembra prendere una piega diversa. Sarà davvero così? Non ve lo dirò ovviamente, poiché chi legge tende ad avere la mania di voler scoprire i finali da sé.
L’autore, attraverso le parole del protagonista/voce narrante dischiude le porte su un mondo fatto di rituali ossessivi e lo fa con leggerezza e ironia, rendendo questo piccolo inferno che è la vita di Chuck un luogo in cui avventurarsi col sorriso sulle labbra. Il libro è da leggere tutto d’un fiato senza troppi preconcetti e pregiudizi, con la voglia di vedere il mondo con lenti nuove, ottimistiche per una volta, perché la vita può essere cambiata, anche la vita di uno sfigato dalle mani pulitissime.
Detesto con ogni fibra del mio essere uscire di casa per ultima, controllo ossessivamente di aver chiuso il gas e cerco, almeno cento volte, le chiavi in borsa per essere certa di averle prese. Meglio non dirlo a Chuck.