C’è una sincera vena autobiografica nel racconto dell’esordiente Grace McCleen “Il posto dei miracoli”.
La scrittrice, nata nel 1981 e cresciuta in una famiglia cristiana fondamentalista del Galles, traduce le proprie esperienze in una narrazione in prima persona e dal punto di vista di una bambina di dieci anni, Judith McPherson. Judith crea mondi in miniatura servendosi di qualunque cosa: cartine di caramelle, bastoncini, sacchetti, lana, cucchiai di plastica ed altro ancora. E’ come se replicasse i gesti primordiali della creazione quando dà vita alle molteplici sfumature della sua “Terra dell’adornamento”. Se il suo mondo vero, quello in cui il destino l’ha situata alla nascita, è solo uno squallido covo di brutture, sia umane che fisiche, lei se ne inventa uno tutto personale nella sua stanza, utilizzando, paradossalmente, proprio gli scarti di quella prima genesi ormai così decaduta.
Il suo isolamento è pressoché totale, sia in classe, dove i compagni la perseguitano con continue molestie, sia in casa, dove il padre, amareggiato per la prematura scomparsa della moglie ed avvilito dalla sua condizione di operaio nella fabbrica locale, manifesta una fredda attenzione e costringe la bambina ad uniformarsi ai dettami di una setta religiosa che predica il prossimo avvento di Armageddon e si costringe dentro pratiche rigorose di culto.
Ma ecco che, di fronte all’ennesima minaccia del bulletto della sua classe, la bambina si trova a desiderare fortemente che un evento naturale, per quanto imprevisto per la stagione, la neve, venga ad impedirle di andare a scuola; e quell’evento, prima simulato nella terra di fantasia, improvvisamente si avvera.
Facile che la mente fervida di una bambina solitaria immagini il possesso di poteri magici, facile identificarsi col motore stesso della creazione, facile che la potenza dei suoi desideri le faccia credere di aver dato vita ad una serie di avvenimenti dalle conseguenze imprevedibili. Così che, da lettori, siamo condotti fino in fondo alla storia, agganciati al dubbio sulla reale condizione della protagonista, affascinati ed insieme perplessi dal tono lieve ed inquietante del racconto .
Gli elementi della narrazione nel romanzo della McCleen, il senso di disfacimento che regna sulla cittadina teatro degli eventi, la cupa ossessione dei settaristi per la fine del mondo, il disagio di una bambina combattuta tra il desiderio di rimanere fedele alle idee del padre e la voglia di liberare un potenziale energetico d’immaginazione ed insieme di violenza e vendetta, quegli elementi dicevo si combinano a creare un’atmosfera opprimente, quasi una cortina minacciosa che solo in parte alla fine si diraderà, lasciandoci a riflettere malinconicamente sui frutti alterati di un’educazione restrittiva, ma anche sulle capacità di un essere umano di affrontare i disagi del mondo partendo da una grande fiducia sulla possibilità che il reale cambi, anche poco, anche per gradi, che il miracolo discreto sia dietro l’angolo.
“I miracoli non devono per forza essere grossi e possono succedere nei posti più improbabili. Possono succedere in cielo o su un campo di battaglia o in una cucina nel mezzo della notte.”
“Dovete solo fare un balzo”.