Le evoluzioni rappresentano un cambiamento graduale e continuativo. Queste solitamente avvengono in maniera quasi naturale, tanto da passare inosservate ai presenti, per presentarsi ai posteri solo dopo un lasso di tempo ben definito, sottoforma di fenomeno o evento da analizzare. Insomma si può dire che le evoluzioni, nonostante il loro naturale svolgersi, siano imponenti e impegnative (quasi spaventano), tanto da richiedere attenzione e studio. Ma cosa accade quando questi cambiamenti non coinvolgono l’uomo in prima persona ma ciò che lo circonda e lo riguarda direttamente?
Quello sulla comunicazione è uno studio che va via via ampliandosi, abbracciando diverse discipline, dalla sociologia, all’economia, alla scienza. Campi differenti in cui il rapporto tra uomo e linguaggio si installa come caposaldo di un’evoluzione molto più grande che è quella che riguarda il modo dell’uomo di lasciare traccia di sé.
Un tempo, e questo va detto senza retorica, il linguaggio altro non era che un modo per comunicare tra persone, e qualsivoglia strumento o mezzo venisse usato, rappresentava un medium attraverso il quale veicolare un’informazione da uno a uno, o da uno a molti. In principio era la semplice oralità della parola, poi vi furono gli scritti, poi la stampa, poi le radio, poi la tv, poi internet, poi un villaggio globale, come lo ha definito McLuhan, in cui la connessione tra più persona era un’insieme di fili che permetteva l’utilizzo di un linguaggio semplice, simile e dunque comprensibile, come la moderna nuvoletta (meglio conosciuta come i-cloud), che oggi tanto ci segue e ci vuole diventare amica. E ciò che conta di più è proprio questo: essere connessi gli uni agli altri aldilà del tempo e dello spazio, in ogni luogo e nel più breve tempo possibile. Comunicare attraverso il mezzo più potente degli ultimi tempi, internet, è essenziale poiché ci regala un potere illimitato, quello della sopravvivenza. Utilizzare un linguaggio breve e diretto, coinciso (vedi i 160 caratteri imposti da Twitter), parlare di sé (vedi Facebook che chiede di aggiornare il proprio stato chiedendo: come va oggi?) e comunicare ad una fascia di utenti sempre più vasta.
Ma perché l’uomo oggi sente sempre più il bisogno di essere continuamente rintracciabile?
Non essere connessi al villaggio globale significa esserne estromessi, vivere parallelamente in un mondo sempre più vulnerabile. Seguire, connettere, aggiornare: sono questi i verbi più utilizzati oggi quando si parla di comunicazione. Non più un semplice linguaggio ma una serie di codici da interpretare e fare propri per comprendere ciò che si ha intorno, per lasciare una parte di sé alla comunità, per essere riconosciuti e dunque ricordati. Emerge così quel desiderio intrinseco dell’uomo di immortalità, ottenibile con un semplice click: far sapere al mondo cosa si sta facendo, condividere foto che ritraggono momenti importanti, presentarsi con un curriculum vitae che faciliti l’approccio diretto con lo sconosciuto. Parlare a più livelli senza mai riposarsi. Già, perché la rintracciabilità è d’obbligo. Impossibile pensare di poter nascondere un movimento, un pensiero, un giorno qualunque. Non esistono giorni anonimi nel villaggio virtuale, ma solo eventi tracciati, utili alla costruzione di una personalità riconoscibile tra molti.
Viene a mancare così quella linea di separazione tra pubblico e privato, tra esteriore e interiore, tra mistero e conoscenza. Spariti i filtri della privacy, cosa rimane di uomo, costretto a vivere come animale sociale? Forse un latente super-io, egocentrico e indaffarato, o più semplicemente un individuo vittima del comune desiderio di sopravvivenza. Perché dopotutto le evoluzioni che riguardano l’uomo sono legate a questo, e si sa che sopravvive solo chi si adatta.
Ma non è forse vero che i migliori cambiamenti sono quelli che nascono dal basso, dalle voci fuori dal coro? L’evoluzione, ne sono certa, è solo agli inizi.