Un grande temporale
per tutto il pomeriggio si è attorcigliato
sui tetti prima di rompere in lampi, acqua.
Fissavo versi di cemento e di vetro
dov’erano grida e piaghe murate e membra
anche di me, cui sopravvivo. Con cautela, guardando
ora i tegoli battagliati ora la pagina secca,
ascoltavo morire
la parola d’un poeta o mutarsi
in altra, non per noi più, voce. Gli oppressi
sono oppressi e tranquilli, gli oppressori tranquilli
parlano nei telefoni, l’odio è cortese, io stesso
credo di non sapere più di chi è la colpa.
Scrivi mi dico, odia
chi con dolcezza guida al niente
gli uomini e le donne che con te si accompagnano
e credono di non sapere. Fra quelli dei nemici
scrivi anche il tuo nome. Il temporale
è sparito con enfasi. La natura
per imitare le battaglie è troppo debole. La poesia
non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.
Franco Fortini
Un foglio e una penna. Fuori la pioggia.
Franco Fortini, classe 1917, famoso più come saggista e traduttore, è stato un intellettuale di alto livello, sebbene un po’ al margine della scena principale. Tuttavia ha ricevuto consensi da molti intellettuali di spicco, anche da Montale, per citare il più importante. Qui il poeta ci racconta della sua attività di traduzione.
Il traduttore non incontra solo il pensiero e la voce dell’autore che si esprime attraverso l’opera, ma esplora soprattutto se stesso. La traduzione diventa quasi un atto sublime, un momento in cui le figure di autore da una parte e traduttore dall’altra si mimetizzano in una fusione perfetta.
Nella scena raffigurata in questo componimento si intravede l’essenza del Fortini. Essere un traduttore non è solo un impiego, un lavoro , una fonte di sostentamento. C’è molto di più.
L’interprete scompare, si annulla quasi: la sua mano va, la sua voce è mista. Un poeta muore, ma nello stesso tempo rinasce a vita nuova, nella penna del poeta che lo accoglie. Idee già scritte, già pensate si arricchiscono di linfa nuova, veicolano anche tutto il bagaglio che il traduttore ha saputo lasciare.
Modellare la lingua e adattare concetti già formulati a una lingua nuova, diversa, non è una semplice operazione di traslazione. Tradurre non è riscrivere lo stesso, ma scrivere di nuovo, e scrivere implica il coinvolgimento emotivo di chi sta dietro la penna.
Fortini in questi versi ha il merito di farci guardare la cosa da un’angolazione diversa, probabilmente sconosciuta. Quante volte di fronte a una traduzione pensiamo ciò che si pensa di solito, cioè che sicuramente è stato perso qualcosa. Attraverso questa poesia possiamo ricrederci. Se è vero infatti che qualcosa del testo di partenza è andato perduto, è altrettanto vero che qualcosa è stato acquistato. Ci troviamo di fronte a qualcosa che porta i segni dell’origine e della fine. Dietro un unico foglio due anime.