Qualche giorno fa sul web si è scatenata una forte critica nei confronti di Homolaicus, un dizionario online di sinonimi e contrari. La questione è stata accesa da una singola voce, la parola “inferiore”. Qualcuno infatti con una buona dose di attenzione e spirito critico ha scorto un’imperfezione e ha fatto girare sul web l’immagine della voce inferiore estratta proprio dal sito Homolaicus. È sufficiente leggere le prime due righe di sinonimi per cogliere l’anomalia: infatti dopo basso, disagiato, primitivo e infimo compare, o meglio compariva, la parola meridionale seguita dalla parola umile.
Il sito è corso subito ai ripari correggendo l’errore, divenuto tale solo dopo la scoperta fatta da alcuni utenti. Infatti mi viene da pensare che la parola non fosse inserita per errore, in quanto il termine meridionale non era né in fondo alla lista di sinonimi né incastrato a caso tra la parola arretrato e umile.
Prima di inserire una parola in un dizionario se ne valuta l’utilizzo su scala nazionale, se questo si spaccia per dizionario della lingua italiana. Per concludere se una parola è utilizzata solo da una parte della comunità parlante è bene sottolineare per lo meno l’area di provenienza, e credo che al Sud non si userebbe mai la parola inferiore per indicare un meridionale.
Detto ciò possiamo iniziare a riflettere su come, nonostante gli infiniti mezzi di comunicazione a nostra disposizione, SMS, chat, email, social network, ecc, viviamo ancora in un’Italia che si divide tra Nord e Sud. Sia chiaro questo è bellissimo, abbiamo delle differenze nettissime e marcate, siamo un popolo dalle tradizioni più variegate e probabilmente questo è ciò che più ci contraddistingue, ma parliamo tutti italiano e perciò le differenze non devono assolutamente essere considerate da nessuno un motivo di inferiorità.
La lingua è il fattore che più chiaramente ci accomuna, e con essa la storia e la letteratura. Siamo l’unico popolo in cui è nata prima la lingua e poi la nazione, e la storia della letteratura italiana ha visto fiorire grandi penne in ogni area della penisola. Sarebbe giusto che questi autori facessero parte della cultura comune di tutti e soprattutto che venissero raccontati a scuola.
E a questo punto sorge un’altra anomalia, segnalata circa un anno fa dal Corriere del Mezzogiorno, riguardante i programmi scolastici delle scuole superiori. Secondo una decisione presa nel 2010 da una commissione nominata dall’allora Ministro dell’Istruzione Maristella Gelmini, diversi autori e scrittori sono scomparsi dai programmi dell’ultimo anno delle superiori. Si sa spesso è necessario fare una cernita nei programmi scolastici e quello di letteratura italiana, soprattutto al quinto anno, è uno dei più ardui da compilare e portare a termine. Il problema della scelta effettuata da questa commissione sta nel fatto di aver estromesso dalla lista di autori da studiare un buon numero di autori meridionali, a favore di altri provenienti da regioni del Nord. Non è possibile affermare la volontà di questa scelta, fatto sta che la modifica è passata in silenzio e provoca un certo sconcerto. Fuori dalla lista ci sono Alfonso Gatto, originario di Salerno, il materano Rocco Scotellaro, ma anche i siciliani Leonardo Sciascia ed Elio Vittorini, e Ignazio Silone e Leonardo Sinisgalli, abruzzese il primo e potentino il secondo. Tra gli assenti un’unica eccezione tra gli scrittori del nord, Carlo Levi, che raccontò della Lucania negli anni ’30. Basterebbe integrare il programma con questi nomi per creare un maggiore equilibrio e una più completa mappa della penisola letteraria.
La questione meridionale è un nodo difficile da sciogliere, ma è una questione che tratta di economia e questa parola venne utilizzata per indicare il dislivello economico che tra Nord e Sud c’era, e che c’è ancora, ai tempi dell’Unità.
Giustino Fortunato diceva nel 1873: « Che esista una questione meridionale, nel significato economico e politico della parola, nessuno più mette in dubbio. C’è fra il nord e il sud della penisola una grande sproporzione nel campo delle attività umane, nella intensità della vita collettiva, nella misura e nel genere della produzione, e, quindi, per gl’intimi legami che corrono tra il benessere e l’anima di un popolo, anche una profonda diversità fra le consuetudini, le tradizioni, il mondo intellettuale e morale. » Ma Giustino Fortunato non parlava, già allora, di inferiorità e superiorità, egli analizzava e giudicava da buono studioso cercando le cause e cercando l’unione tramite le soluzioni.
Sarebbe il caso di abbandonare del tutto i termini meridionale e settentrionale, sarebbe il caso, dopo lunghi 150 anni, di iniziare a definirci Italianiebbasta!