ESTRAGONE: “E adesso che facciamo?”
VLADIMIRO: “Non lo so.”
ESTRAGONE: “Andiamocene.”
VLADIMIRO: “Non si può.”
ESTRAGONE: “Perché?”
VLADIMIRO: “Aspettiamo Godot.”
ESTRAGONE: “Già, è vero.”
Insieme ad Eugène Ionesco, Samuel Beckett fu uno dei massimi rappresentanti del cosiddetto “ Teatro dell’Assurdo”, un genere teatrale che presenta opere con trame e linguaggio privi di senso, mirati a rappresentare l’assurdità dell’esistenza. Nato a Dublino nel 1906, Beckett frequentò il Trinity College dove studiò inglese, francese e italiano; proprio in francese scriverà spesso i suoi drammi, perché l’uso di una lingua straniera permetteva allo scrittore di rappresentare con distacco la condizione umana in quegli anni. In seguito, a Parigi assunse l’incarico di lecteur d’anglais all’École Normale Supérieure, dove strinse amicizia con James Joyce.
Tornato al Trinity College, Beckett rassegnò le dimissioni nel 1931 per dedicarsi interamente alla sua passione, la scrittura. Nel 1932 compose il primo romanzo, Dream of fair to middling women, pubblicato solo successivamente a causa delle numerose critiche sorte in merito. Nel 1935 pubblicò il libro di poesie Ossa d’eco e cominciò a lavorare al romanzo Murphy, pubblicato nel 1938. Per allontanarsi dalla madre, con cui ebbe sempre un difficile rapporto, Beckett decise di trasferirsi a Parigi, dove consolidò l’amicizia con Joyce e con altri artisti e letterati.
Negli anni della Seconda guerra mondiale collaborò con la Resistenza francese e fu costretto a rifugiarsi nel sud della Francia. Tornato a Dublino, Beckett ebbe una sorta di rivelazione sul suo futuro letterario, e proprio questa vicenda costituisce la trama romanzata dell’ opera L’ultimo nastro di Krapp. Cominciò anche a scrivere il suo primo romanzo direttamente in francese, Mercier et Camier, testo significativo poiché è da molti ritenuto l’immediato antecedente di Aspettando Godot. Pubblicato nel 1952, En attendant Godot fu rappresentato a Parigi nel 1953 e incontrò più critiche che approvazioni; infatti, lo sconcerto di fronte ad una vicenda così priva di senso e così intrisa di pessimismo fu grande. Tuttavia, il successo ottenuto successivamente a Londra e New York segnò l’inizio della carriera teatrale di Beckett, con la produzione di testi come: Finale di partita (1957), L’ultimo nastro di Krapp (1959), Giorni felici (1961) e Respiro (1970).
Tra il 1951 e il 1953 compose la trilogia Molloy, Malone muore e L’innominabile; sicuramente, quest’opera fu molto influenzata dall’amicizia dello scrittore con Joyce poiché, sulle orme dell’amico, Beckett tentò di riconfigurare il romanzo, con il solo risultato di distruggerne e dissolverne la struttura interna. Basti dire che nella trilogia personaggi indefiniti e soli monologano continuamente sul nulla dell’esistenza.
Nel 1956 la BBC Third Programme gli commissionò l’opera radiofonica Tutti quelli che cadono; da questo momento l’autore scrisse varie sceneggiature per la radio e nel 1964 realizzò il cortometraggio Film, presentato al New York Film Festival nel 1965. Nel 1969 gli venne conferito il premio Nobel per la letteratura, poiché la sua opera « traeva motivo di elevazione dalla messa a nudo del dissolvimento dell’uomo d’oggi». Successivamente Beckett si ammalò e trascorse l’ultimo periodo della sua vita in una casa di cura, dove si spense nel 1989.
Beckett nelle sue opere riversa il proprio nichilismo e il proprio pessimismo sulla condizione umana. La realtà è priva di senso per l’autore, perciò l’uomo non può che condurre un’esistenza tragica, basata sulla consapevolezza di quest’insensatezza. Beckett riduce i propri personaggi a larve, individui privi di una volontà, persino di quella più elementare che consiste nel muoversi da un luogo ad un altro. Valgano come esempio i due protagonisti di Aspettando Godot, due esseri incapaci di agire e pensare, incapaci persino di porre fine alla loro tragica condizione con il suicidio. Lo stesso linguaggio riflette questa privazione di senso del reale: infatti, le parole per Beckett non sono alla base di discorsi o di una comunicazione interpersonale, non veicolano un significato. Il discorso umano è ridotto ad un’ accozzaglia di frasi ripetute in modo ossessivo, spesso accostate senza un nesso logico. La realtà contemporanea non ha senso: perché allora dovrebbe avere un senso il linguaggio che esprime questa stessa realtà?