Non so se mi crederete. Passiamo metà della vita a deridere ciò in cui altri credono, e l’altra metà a credere in ciò che altri deridono. Camminavo una notte in riva al mare di Brigantes dove le case sembrano navi affondate, immerse nella nebbia e nei vapori marini, e il vento dà ai rami degli oleandri lente movenze di alga. Non so dire se cercassi qualcosa, o se fossi inseguito: ricordo che erano tempi difficili ma io ero, per qualche strana ragione, felice.
Nel 1987 Stefano Benni dà vita ad una raccolta di racconti particolari; a metà strada tra l’Alice del paese delle meraviglie e il Dante della Commedia, l’ospite senza nome è il protagonista di quest’avventura; mentre passeggia vicino al molo di Brigantes, un uomo passandogli vicino lo saluta con una sorta di leggero inchino e poi riprende a camminare. Incuriosito, l’ospite, lo segue notando da subito la gardenia che il vecchio elegante, vestito di nero, ha all’occhiello della giacca. L’uomo misterioso sembra fluttuare anziché camminare, tant’è che non si sente il rumore dei suoi passi sul legno. Ad un certo punto l’uomo prende a discendere delle scale e l’ospite spaventato dal possibile suicidio in corso, si affretta a chiamarlo. Nulla, l’uomo ha sceso già tutta la scaletta ed è scomparso nelle acque oscure. L’ospite non perde tempo; si tuffa e discende nella profondità del mare; a pochi metri dal fondo scorge un’insegna luminosa “BAR” e quel vecchio elegante che in quella direzione si sta dirigendo. Continua a seguirlo e si ritrova di fronte ad una porta di legno; ad aprirla è proprio lui che, tesa la mano al protagonista, lo lascia entrare nel bar.
Era arredato con mobili di stile diverso, alcuni di antico gusto marinaro, altri esotici, altri decisamente moderni. Il bancone sembrava la fiancata di una nave, tanto era lucido e imponente. Gli avventori bevevano e chiacchieravano come in un qualsiasi bar di terraferma.
Il barista offre all’ospite un bicchiere di vino e una gardenia, invitandolo poi ad accomodarsi e ad ascoltare i racconti dei vari avventori. Questo prologo funge da cornice narrativa; si susseguono poi i ventiquattro racconti che affrontano differenti temi in diverse forme stilistiche: dal poliziesco, al comico passando per l’horror. Il primo a raccontare è l’uomo col cappello che con L’anno del tempo matto fa conoscere agli altri le vicende del paese Sompazzo e dei presagi di quell’anno balordo; segue Il più grande cuoco di Francia del vecchio con la gardenia; tutti i racconti portano il nome del narratore, la materia della quale trattano e una breve citazione che va da Melville a Enzensberger, da Mann a Eliot; da Carroll a Gadda passando per un proverbio africano, concludendo con il racconto finale, quello dell’ospite protagonista. Qui, col ritorno alla prima persona, il lettore si riposiziona nel punto di focalizzazione iniziale; stavolta l’invito è indirizzato all’ospite, che non potendo venir meno a quella consuetudine, deve raccontare una storia per guadagnarsi l’uscita. Già, nel bar sotto il mare non si esce dalla porta di entrata ma ci sono vie alternative: si può non essere mai entrati, trovare un’altra porta per uscire oppure, così come dice il marinaio, si può essere già usciti. Dopo qualche momento di esitazione l’ospite inizia a raccontare la sua storia.
Camminavo una notte in riva al mare di Brigantes, dove le case sembrano navi affondate, immerse nella nebbia…
Stefano Benni fonda nel suo lavoro l’irrealtà delle situazioni con l’umanità dei personaggi che se pur fantasiosi conservano ingredienti della società umana; vizi, virtù, regole e convenzioni in un mare che ondeggia tra la commedia e la tragedia che può giocare con l’espediente del particolare bar sotto il mare.