Il cielo è color gas domestico.
Sta arrivando, sta arrivando.
In un cuore di cellofan vetrate retroilluminate disperdono il seme della persona prostrata al tuo sangue: il rischio ricade sui polpastrelli di veleno suburbano spalmato su te stesso; rianimi le battute del gatto con il cane-nella-bara: vagone delle menti, illuminazione oscura del “tutto a posto”.
Controllori che dalla metempsicosi brevettano la nuova inventio della paura della pioggia su un giubbotto di pelle. Gli umani cadenti dal culo delle stelle ché di mattina sparano fuori-vena questioni modaiole della black list di Dio. Giovane al telefono, senza cancro, parla con la mezzanotte e tassisti occupati alla bocca da mosche elegiache:“Dio-figlio- del- cane nella bara e del gatto osservante… dedica astronavi al questionante dell’immanente.”
L’ultimo anno alla finestra.
Non lo sento tra la connessione atonica (senza fili), e il ricordo dell’ultima neve del mattino.
Orazio Labbate