C’era un paese che si reggeva sull’illecito. Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere. […] Di tanto in tanto, quando meno ce lo si aspettava, un tribunale decideva d’applicare le leggi, provocando piccoli terremoti in qualche centro di potere e anche arresti di persone che avevano avuto fino ad allora le loro ragioni per considerarsi impunibili. In quei casi, il sentimento dominante anziché di soddisfazione per rivincita della giustizia, era il sospetto che si trattasse di un regolamento di conti di un centro di potere contro un altro centro di potere. […] In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto gli onesti erano i soli a farsi sempre degli scrupoli. A chiedersi ad ogni momento che cosa avrebbero dovuto fare. (Apologo sull’onestà nel paese di corrotti, Italo Calvino, 15 marzo 1980).
Con alcuni estratti di tale favola di Calvino si apre il libro scritto da Corrado Augias, Il disagio della libertà-perché agli italiani piace avere un padrone, da cui riporterò alcune citazioni di altri autori presenti nel suddetto testo. Un titolo che la dice lunga su come la pensa il popolo italiano, il quale rivendica a voce alta le proprie libertà, ma poi è fortemente attratto da una figura con forte personalità che paradossalmente quelle libertà le potrebbe anche restringere. E poco importa di quale fazione sia quel personaggio, poco importa su come sia arrivato al potere, se fa le giuste promesse che possano soddisfare il popolo italiano, allora avrà grandissima fortuna. E già, perché poi il popolo italiano non ha un grande senso dello Stato o delle Istituzioni: le tasse sono viste come una grande vessazione a cui il popolo è sottomesso, vagli a spiegare che si devono pagare per il bene comune, vagli a spiegare il significato di ‘bene comune’.
Tutto si fa per i propri obiettivi personali e se usi qualche mezzuccio illecito per conseguire i tuoi scopi, tutto sommato sei considerato un ‘dritto’, un ‘furbo’, uno che non sta lì a guardare, ma piuttosto uno che per la propria causa personale è disposto a prevaricare sugli altri. Perché poi questa uguaglianza, riflettendoci bene, non è che piaccia proprio a tutti. Qualcuno vuole sentirsi più uguale degli altri o forse ‘diversamente uguale’ dagli altri. Però sempre in nome della propria libertà, perché in fin dei conti, l’Italia è un Paese libero. Chissà cosa penserebbe il filosofo John Stuart Mill, che nel suo Saggio sulla libertà, sosteneva che “L’unica libertà che meriti questo nome è quella di ricercare il proprio bene a proprio modo nella misura in cui non si cerchi di privarne ad altri o di ostacolare i loro sforzi per ottenerla”. Credo che questa ‘libertà’, così definita, non piacerebbe a molti. Andrebbe a contrastare il proprio pensiero sugli interessi personali, per i quali, puoi fare di tutto.
Francesco Guicciardini riteneva che gli italiani si interessassero solo ed esclusivamente del loro ‘particulare’; lo stesso Leon Battista Alberti, nel suo I libri della famiglia, riporto testualmente le parole di Augias: “Disegna una famiglia chiusa come una piccola società, isolata dalla città, dalla politica, delinea attività ed istituti che interessano solo per i possibili vantaggi che se ne possono ricavare. All’occorrenza rubando”. Per il bene della famiglia questo ed altro… Insomma per quanto il Paese possa andare alla deriva, per quanto ci possano essere dei problemi gravi, l’importante è che tali problemi non ci tocchino di persona. Per il resto, tutto va bene. Tutto passa. Ciò che conta sono i propri interessi personali e quelli di familiari e conoscenti, il tutto a discapito del bene della società e del comune senso del dovere. Già… il senso del dovere. Scriveva Massimo d’Azeglio ne I miei ricordi:
A fare il proprio dovere, il più delle volte fastidioso, volgare, ignorato, ci vuole forza di volontà e persuasione che il dovere si deve adempiere non perché diverte o frutta, ma perché è dovere; e questa forza di volontà, questa persuasione, è quella preziosa dote che con un solo vocabolo si chiama ‘carattere’ onde, per dirlo con una parola sola, il primo bisogno d’Italia è che si formino italiani dotati di alti e forti caratteri.
Siamo nel 2013, direi che forse è giunto il momento!