E come potevamo noi cantare con il piede straniero sopra il cuore?
In salicibus, in medio eius, suspendimus organa nostra.
Un’aria per coro, un popolo che canta.
Questo è “Va’ pensiero”.
Gli Ebrei e la cattività babilonese, gli Italiani ancora da fare… tutti gli oppressi, gli umili manzoniani, i vinti verghiani, gli ultimi della Storia, avevano trovato il loro inno.
Era toccato ad un figlio del popolo dargli voce.
A Giuseppe Verdi, assurto da Le Roncole di Busseto alle glorie de’ teatri, alla carica di Senatore, addirittura, lui così schivo d’onori.
27 gennaio 1901
Atti Parlamentari – Commemorazione
Stanislao Cannizzaro, Vicepresidente
Signori senatori! Stanotte alle 2.50 spirava in Milano la grande anima di Giuseppe Verdi. Non morrà però il suo nome: e non si eclisserà mai quella gloria che ha lasciato in eredità all’Italia.
Gloria non solo splendente ma altresì purissima, poiché il sommo maestro al genio artistico associava le più elevate e nobili doti morali ed al culto dell’arte il più schietto e gagliardo patriottismo. (Approvazioni).
(…)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Fogazzaro.
FOGAZZARO. Signori! Un grande lume della patria si è spento, e forse, in quest’ora oscura, meglio che le parole, un silenzio atterrito risponderebbe a quel gelo amaro che a tutti ne stringe l’animo, quanti qui e fuori di qui abbiamo cuore per la gloria del paese nostro, quanti qui dentro e fuori di qui abbiamo senso per il divino raggio del genio.
Ma, signori, lo comprendo, è un sovrano quello che la morte ha colpito, un sovrano potente oltre i confini d’Italia, e l’impero di un alto dovere ne sforza a vincere questa angoscia a levare il cuore e la voce per un saluto solenne a lui che glorioso ci passa davanti volto all’eternità. (Bene).
Un sovrano Giuseppe Verdi fu veramente; fu sovrano per l’altissimo ingegno; fu sovrano per il magistero dell’arte che in lui, sino alla più tarda vecchiaia, rinnovellava forme come in una fonte di giovinezza immortale; fu sovrano finalmente per un insigne primato nell’armonia suprema dell’intelletto e dell’animo, nella modesta semplicità della grandezza, nell’infaticata, indomita energia, che oggi solamente riposa e lavorò ancora quando tutta la gloria che questa terra può dare già era sua, e non vi era più che un culto da rendere all’ideale, non vi era più che un esempio di magnifico lavoratore da mostrare al popolo italiano ed al mondo.
Il nome di Verdi meritò sopra ogni altro di simboleggiare nei tempi eroici del nostro risorgimento, per un mistico incontro di voci, la sospirata, invocata unità della patria intorno al trono del primo suo Re.
Verdi è stato un grande unificatore nostro, quando, chiusa nell’onda della sua musica ardente, inafferrabile al nemico, l’idea nazionale corse liberamente dalle Alpi al mare, l’Italia schiava, infuocando i cuori. (Approvazioni).
Egli è ancora un grande unificatore nostro in questo fugace momento, mentre, sospese le distinzioni di fedi e di parti, un palpito solo raccoglie gl’italiani intorno al suo letto funebre. (Benissimo).
Possa questo ventesimo secolo, che tanto dono raccolse dal suo predecessore e tanto breve tempo seppe serbarlo, possa, io dico, riportare all’Italia altrettanta potenza di arte, che unifichi, tutto penetrandolo ed elevandolo, il nostro popolo; e non manchi al lume dell’arte giammai quel sereno raggio del bene, che, circonfuso al nome di Giuseppe Verdi, ne moltiplica e ne stende oltre la terra il fulgore. (Approvazioni).
È questo il voto che io esprimo, parlando non già come artista, ma come cittadino d’Italia, come collega vostro, come l’ultimo dei membri di questa augusta Assemblea, che ha ed ebbe sempre per fine supremo dell’opera propria la grandezza civile e morale della patria. (Vivi applausi – molti senatori si congratulano con l’oratore).
E alle esequie di Verdi, dopo la pietà della paglia a proteggere l’agonia del maestro morente, dopo il dolore e il silenzio, venne la voce del popolo.
In cori spontanei.
Va’, pensiero…