Lo scorso 14 febbraio è stata la giornata mondiale del V-Day, dove la ‘V’ sta per Valentino, Vittoria e Vagina. Il movimento è stato fondato da Eve Ensler, l’autrice dei Monologhi della vagina, che per lo scorso evento ha lanciato l’idea del flash mob a cui hanno partecipato donne e uomini di tutte le parti del mondo per dire basta alla violenza sulle donne, ai maltrattamenti fisici, alle mutilazioni genitali, agli incesti e alla schiavitù sessuale. Anche nel nostro Paese la giornata ha avuto un certo rilievo e si è prestata molta attenzione al delicato tema che l’evento in sé portava. Il punto è che non mi piace l’idea che poi la giornata rimanga fine a se stessa dal momento che viviamo in un Italia che vedo ancora molto lontana da un’apertura mentale nei confronti della donna. Numeri precisi e statistiche parlano di numerosi femminicidi in un anno, di stupri, di violenze, anche in forma si stalking, di maltrattamenti ai danni delle donne, dove nella maggior parte dei casi il responsabile è un uomo conosciuto dalla malcapitata vittima. Credo che nella nostra penisola ci sia ancora un forte pensiero maschilista.
Fin quando si pensa che la donna sia di proprietà che non può nemmeno ribellarsi al proprio padrone e pertanto è considerata come cosa posseduta da un uomo, se vediamo la donna solo come oggetto del desiderio erotico, nel momento in cui uomini di Chiesa dichiarano che se qualora una donna camminasse in maniera provocante deve aspettarsi qualche violenza, se quando una donna subisce uno stupro si pensa solo a mettere alla gogna mediatica il colpevole e non si pensa anche al trauma psicologico che subisce la vittima, se molti professori benpensanti, universitari e non, si sentono in diritto di provarci con le proprie studentesse, se le stesse donne non si sentono tutelate dalle Istituzioni come ad esempio per il reato di stalking, se gli stessi politici si riempiono la bocca di bei sermoni sul ruolo della donna ma poi in Parlamento la presenza delle stesse è minima ed alcune non stanno lì per le loro doti intellettuali, se anche nelle discussioni più leggere c’è un pensiero maschilista predominante che porta a pensare che se una donna abbia rapporti con più uomini in un determinato lasso di tempo sia una poco di buono, per non trascrivere gli appellativi usati, e se invece lo fa un uomo è un vero macho, allora non andremo molto lontano.
E di fatti l’Italia in tal senso non sta andando molto lontano. Insomma, nel 2013 determinati concetti dovrebbero essere stati superati già da un pezzo. Come ad esempio che la donna debba scegliere la famiglia o la carriera, come se non potesse fare entrambe le cose. Se si cominciasse a guardare bene in faccia l’argomento forse lo si affronterebbe con adeguata serietà, ma se invece continuiamo a navigare nel becero populismo, allora parleremo ancora di vittime, di numeri allarmanti di femminicidi e quant’altro. Ho paura che poi, tutto sommato, non si voglia arrivare alla radice del problema il che ci farebbe diventare un Paese all’avanguardia sotto questo punto di vista. Se manca il totale rispetto non vedo come possiamo.
Dalla parola ‘rispetto’ credo si debba ripartire. Rispetto per la donna nella quotidianità all’interno del rapporto lavorativo, nel rapporto di coppia, nell’ambito familiare o scolastico. Se si ha il rispetto si ha anche una certa sensibilità per poter uscire da alcuni schemi logici e da luoghi comuni che ci portano a ragionare in maniera scellerata e fuorviante. Intanto, come cantava Frankie Hi Nrg,
Già lunga è la lista di ottusi soprusi ma più passa il tempo più crescon gli abusi su donne umiliate dai capi d’azienda “Sei ‘brava’ c’hai il posto, se no alzi le tende”…