28 gennaio 2013. “Orgoglio e pregiudizio” spegne 200 candeline. Ma il suo fascino rimane intatto. Quel delizioso tratto di arguzia, di umorismo, la capacità di un’acuta osservazione dei caratteri umani, delle virtù, ma soprattutto delle debolezze, ne fanno un’opera molto amata, e di conseguenza anche molto omaggiata, al punto che l’esigenza di far vivere i personaggi rappresentati su carta ha partorito molte versioni cinematografiche, che vanno dal lontano 1940 fino ai giorni nostri.
Ma, da un po’ di tempo a questa parte, la scrittura sta rivendicando l’onore di un diverso tipo di omaggio al libro più famoso della Austen, impegnandosi a far evolvere i personaggi secondo chiavi narrative inedite.
Così “Orgoglio e pregiudizio” diventa “Orgoglio e preveggenza”, seguito da altre declinazioni di emozioni, nella serie di Mistery romantici di Carrie Bebris.
Così Seth Grahame Smith e Steve Hockensmith combinano quei due sentimenti del titolo con improbabili “incontri ravvicinati” con creature al limite dell’umano (“Orgoglio e pregiudizio e zombie”).
Per non parlare di “Lost in Austen”, il libro game di Emma Campbell Western.
Ma il fascino di Mr. e Mrs. Darcy cattura anche una solida giallista come P.D. James. La madre letteraria di Cordelia Gray e dell’ispettore Dalgleish si cimenta, con il suo “Morte a Pemberley” nell’ulteriore rivisitazione mistery del famoso romanzo, in una delle tante, probabili prosecuzioni di quella trama, che si era conclusa, con Jane Austen, gettando appena un occhio discreto alla vita dei due personaggi principali dopo le nozze.
I coniugi Darcy sono felicemente sposati, gratificati dalla nascita di due eredi, padroni liberali ed illuminati, altrettanto felicemente vicini di casa con i coniugi Bingley, sì che le sorelle Jane ed Elizabeth godono molto spesso della reciproca compagnia. Ma, alla vigilia di un elegante ballo alla tenuta, ritualmente organizzato in ricordo della Madre di Darcy, si verifica, nei boschi di Pemberley, un evento luttuoso, un delitto, in cui sono coinvolti, a vario titolo, Lidia, la sorella ingombrante, già al centro di una fuga d’amore discretamente riparata, ed il di lei consorte Wickham. A partire da quell’evento, la macchina della giustizia si metterà in moto per trovare il colpevole.
P.D. James si mantiene fedele al racconto originario nel senso di ricamare la trama traendola da un ordito già imbastito ed i riferimenti al libro della Austen sono molteplici, ma il registro, sottilmente, cambia, ed introduce elementi di una drammaturgia più oscura, laddove una scrittrice come la Austen avrebbe solo potuto entrare in punta di piedi, ma sicuramente non soffermarsi.
In questo modo, l’elegante, luminosa armonia di una dimora avita ed i suoi dintorni si animano di un senso di inquietudine, le ombre si aggirano per i boschi, accenni di gotico si mostrano qua e là, quasi a voler rivendicare, a cavallo tra settecento ed ottocento, un ruolo di rilievo al pari della parte solare, positiva, rappresentata dall’illuminismo.
E c’è inoltre, nel libro della James, un’attenzione più marcata al contesto sociale in cui si svolgono le vicende, il personale di servizio viene tirato fuori da un semplice ruolo da comparsa a beneficio di figure di maggior spessore, come quelle del maggiordomo e della governante; il meccanismo della giustizia inglese delle contee è reso con grande verosimiglianza, ed il ruolo che Darcy vi rappresenta dà la misura del suo radicamento locale e delle sue responsabilità al di là degli impegni mondani.
Complessivamente, è un tono più serio, quello che attraversa il libro, privo di quella ariosità, di quella leggerezza pensante, che ha caratterizzato la prosa dell’opera originaria. Le ali impalpabili del sorriso svelano le scaglie chiaroscurali della smorfia.