Per Amelia Earhart, prima donna a volare sull’Oceano Atlantico nel 1928, il matrimonio era qualcos’altro. Il suo futuro marito, George Putnam, ha dovuto fare per ben sei volte la fatidica domanda prima di ricevere un “Sì, lo voglio”. Perché mai tanta reticenza? La risposta la si trova nella vita spericolata di Amelia, nella sua ricerca dell’indipendenza, nel rifiuto delle regole borghesi, nella non passiva accettazione di una rigida struttura patriarcale della società. Visse in un’epoca a metà strada fra la tradizione vittoriana del nucleo familiare con al centro il pater familias e l’età dorata della casalinga – all’epoca meno disperata – nel cuore della vita domestica. Leggendo le sue lettere (Lettere da Amelia, 1901-1937) ci si accorge di quanto Amelia sia alla costante ricerca di spazi (aerei e non) nei quali definirsi. Il suo spirito libero la porta in giro per gli Stati Uniti e per il mondo e le mura domestiche sembrano starle davvero strette.
Per lei l’ “attraente gabbia” del matrimonio non era abbastanza. Infatti, poche ore prima delle nozze scrive una lettera appassionata a George (7 febbraio 1931); un’epistola che sembra più un monito e un avvertimento. Parla di onestà, Amelia, quella di confessarsi se ci s’innamorerà di qualcun’altro, quella di “non interferire nel lavoro altrui”, quella di lasciare vuoto uno spazio fisico e mentale fra di loro perché, afferma, “ho bisogno di un posto dove andare da sola ogni tanto”. Parla di sincerità, di lasciarsi “se di qui ad un anno non saremo felici insieme”. Per il resto, continua, “farò del mio meglio per donarti quella parte di me che conosci e che sembri volere”. Già, “quella parte” che George conosce; perché Amelia resta inconoscibile e inafferrabile.
Un’idea simile del matrimonio Rainer Maria Rilke la formula nelle sue lettere (Lettere ad un giovane poeta). Come Amelia, Rainer crede nella necessità di una distanza spaziale e psicologica fra i partner, nella combinazione di allontanamenti e ritorni, nel diventare “il guardiano della solitudine dell’altro”. Condizioni impraticabili per molte coppie, ma essenziali per Rainer affinché si possa sviluppare una “splendida esistenza insieme […] che doni loro la possibilità di vedere l’altro interamente immerso in un immenso cielo azzurro”.
Al cielo azzurro è paragonata la vita, in continua trasformazione, in cui le relazioni umane cambiano instancabilmente, nubi si addensano all’orizzonte per poi essere spazzate via da una dolce quanto inattesa brezza straniera. Per affrontare e vincere questa perpetua evoluzione, per Reiner solo “due mondi infiniti, profondi e indipendenti possono essere combinati”, mescolati, e sopravvivere. Perciò, “coloro che vogliono conoscere un amore profondo nella loro vita devono cercarlo, raccoglierlo e preservarlo, e portarvi il miele”, la dolcezza.
Un’idea panteistica dell’amore e della vita insieme in cui l’individualità dell’uno non s’inaridisce ma cresce e si sviluppa nella contiguità libera e fresca dell’universo dell’altro. Dell’uno e dell’altro, dell’una e dell’altra, in tutte le combinazioni aeree possibili. A Reiner non importa, perché forse “il definitivo e sommo cambiamento del mondo avverrà quando uomo e donna, liberi da tutti i loro confusi desideri e sentimenti si cercheranno non più come opposti, ma semplicemente come membri di una famiglia, e si uniranno in quanto esseri umani, per poter semplicemente, onestamente, pazientemente e unitamente sostenere la pesante responsabilità della sessualità che è stata loro affidata”. Riflettiamo.