La storia di ogni intellettuale letterato è sempre più o meno ancorata al genere di cui questi si occupa prevalentemente, ed il pubblico si aspetterà da lui sempre e soltanto il pezzo evergreen, quello che talvolta viene odiato dallo stesso compositore a causa della banalità provocata proprio dalle ripetute ed incessanti richieste.
Questo discorso è valido soltanto in parte per il periodo del Risorgimento, durante il quale le fortissime spinte ideologiche non impedirono a scritti controcorrente come quelli di Giuseppe Giusti di affermarsi nel panorama letterario italiano. Egli, generalmente sconosciuto agli scolari, riuscì a vincere le resistenze del movimento patriottico laddove persino Leopardi, con i suoi pur sottovalutati Paralipomeni della Batracomiomachia, fallì.
La poesie di Giusti ottennero un enorme successo presso il pubblico: ciò accadde poiché quest’ultimo considerò il poeta satirico un modello di battaglia patriottica fondata sullo strumento della beffa e dell’irrisione; un concetto soltanto apparentemente in contrasto interno, conciliato attraverso l’audace accostamento di due mondi fin ora ritenuti incompatibili.
Nacque a Monsummano, paese avvolto da un’atmosfera arcadica in provincia di Pistoia, il 13 maggio del 1809. Proveniente da un’agiata famiglia fortemente legata all’amministrazione statale toscana, durante i suoi studi giuridici non portò a termine granché di glorioso per se stesso e per la propria comunità.
Dopo la laurea nel 1834, poi, seguì l’iter dei rampolli delle famiglie in vista: anche se di salute piuttosto cagionevole, infatti, compì una serie di viaggi lungo tutto lo stivale, soffermandosi particolarmente in grandi centri cittadini, tra cui Roma, Napoli e, su tutte, Firenze; in quest’ultima visse per parecchi anni. Nel 1845 a Milano conobbe anche Alessandro Manzoni.
Sin dal 1838, iniziò a comporre poesie satiriche chiamate da lui stesso scherzi, diffuse per la maggior parte attraverso manoscritti o volantini non rilegati: bisognerà attendere il 1844 per la sua prima raccolta di Versi.
La particolarità della poetica giustiana potrebbe riconoscersi più di ogni altra nella sua “italianità”, dato che non si trattava della denuncia di nobili ascendenze calpestate dallo spirito del tempo, né tantomeno di una fede mistica o razionalistica che tentava di farsi spazio tra i rovi della storia.
Tutt’altro: se Giusti fu accettato nel seno della fase risorgimentale, nonostante fosse un poeta satirico, ciò dipese dal particolare movente accidioso ed occasionalmente collerico che lo contraddistingueva. Le ragioni che spingevano il poeta a comporre, provenivano semmai da una passeggera irascibilità legata ad avvenimenti quotidiani, oppure da passioni personali, unite ad una generica intolleranza nei confronti dello straniero (gli austriaci su tutti) attraverso un’ottica di domestica denuncia.
Dopo un forte periodo di avvicinamento alle ideologie democratiche, si spostò gradualmente verso quelle liberali e moderate (probabilmente influenzato dalla folta schiera di amici appartenenti a questi ambienti), tanto da entrare in netta polemica con le posizioni radicali di Guerrazzi e di Montanelli. Naturalmente, non si fece sfuggire l’occasione di redigere una Cronaca dei fatti di Toscana riguardo questi accadimenti compresi tra il 1845 e il 1849.
Morì di tisi a Firenze il 31 marzo del 1850.
Sebbene nei suoi scritti non siano trattati temi supremi, è importante riconoscere il valore storico, o almeno documentario, della sua produzione: Giuseppe Giusti, più o meno ingenuamente, ha descritto il costume politico italiano dell’epoca facendo qualcosa di più che scrivere, egli lo impersonò a pieno.