L’imposizione del silenzio sulla vita omosessuale, nelle sue espressioni quotidiane, artistiche e politiche, che anima l’impianto della legge in corso di approvazione al Parlamento russo, nega dignità all’esistenza omosessuale. Sembrerebbe infatti che la legge non persegua il fatto in sé di essere omosessuali (l’essere come sfera interna che tale deve rimanere) ma l’apparire e il dire l’omosessualità (l’essere in relazione con il mondo esterno). Questo perché, argomentano i sostenitori della legge, è necessario proteggere una crescita “sana” dei minori. Ma è evidente l’ipocrisia farisaica che anima questa distinzione. Se io sono in un certo modo, è naturale che questo modo venga trasmesso nelle mie relazioni con il mondo esterno e la compiutezza della mia persona si realizza e costruisce, faticosamente, proprio nella proiezione esterna del mio mondo interiore. Questa continuità tra vita privata e pubblica, tra dimensione segretamente interiore dell’essere e esteriormente percepibile dell’apparire si spezza quando ciò che sono, ciò che mi appartiene profondamente per natura è, in sé, un male, e, dunque, inaccettabile dal mondo esterno e, addirittura, indicibile. Se è indicibile, qualsiasi forma di comunicazione che abbia ad oggetto questo “male naturale” deve essere bandita.
In un bellissimo libro di Coetzee, Elizabeth Costello, la professoressa il cui nome dà il titolo all’opera tiene una serie di conferenze in giro per il mondo tra le quali una, avvincente ed inquietante, sul problema del male nella letteratura e se, in specie, un’opera letteraria possa legittimamente soffermarsi sul male, descriverlo, entrarci dentro rischiando essa stessa di diventare male. Il divieto di fare qualsiasi riferimento verbale pubblico all’omosessualità non è un’innocua, benché severa, limitazione del diritto di espressione. No. In esso si annida la considerazione che l’omosessualità, in quanto male assoluto, deve essere ricoperta da uno spesso tendaggio di silenzio, deve precipitare nell’oscurità dalla quale essa stessa si reputa provenga, perché appunto è indicibile. Come per ogni altra forma di “male naturale”, probabilmente esso non verrà estirpato, ma, quanto meno, di esso non deve parlarsi.
La negazione della sfera del linguaggio pubblico, quindi, colpisce profondamente la dignità della vita omosessuale. E, ancora una volta, questa negazione rappresenta il trionfo di dogmi irrazionali e indimostrati, tipici della morale sessuale delle Chiese Cristiane. Il primo dogma consiste nel ritenere l’omosessualità un male naturale e tale è la filosofia che sottende la legge russa. Il secondo e conseguente dogma afferma che un minore può essere salvaguardato da questo male, se non ne vede ed ascolta alcuna forma di espressione. Col che dovrebbe giungersi alla conclusione che … questi minori protetti dall’indicibile vergogna omosessuale mai e poi mai saranno omosessuali! Questi dogmi rappresentano la negazione furibonda della irriducibile varietà e libertà delle pulsioni umane; con essi i poteri si armano per semplificare ed imbrigliare le coscienze.
Mi è tornato in mente il feroce destino di sottomissione ed imbrigliamento che sembra pesare sulla Russia. Quel destino che Dostoevskij ha, sul piano dei rapporti politico-religiosi, magnificamente affrescato nel capitolo dedicato al Grande Inquisitore ne I fratelli Karamazov. L’immenso Autore immagina infatti che Gesù faccia ritorno nel mondo e che il Grande Inquisitore lo condanni nuovamente a morte. Perché questo avviene? Ma perché Gesù torna per ridare libertà ai Figli di Dio e l’Inquisitore grida in risposta che questa libertà gli uomini non la vogliono, che vogliono piuttosto la tranquillità di un piatto a tavola, la rassicurante ed asfittica sottomissione delle coscienze. Qualche anno fa, Adelphi ha tradotto un’opera eccezionale di Vasilij Grossman, Tutto scorre. In uno dei capitoli finali di questo dolorosissimo romanzo-saggio sulla Russia comunista, l’autore spiega che il trionfo del totalitarismo sovietico dopo lo zarismo è il frutto dell’anima russa, che è un’anima schiava. La tesi è forte e, leggendola, si è scossi nel profondo, perché quelle riflessioni, pur riferite dall’autore alla Russia, richiamano al lettore anche altre realtà geografiche (a me, quelle del Mezzogiorno Italiano). Leggendo la notizia della legge–silenziatore sull’omosessualità in corso di approvazione nella Russia di Putin a quasi 25 anni dalla Caduta del Muro, ho ripensato al Grande Inquisitore e all’ultimo capitolo di Tutto scorre e, con essi, alla necessità di stare sempre all’erta contro la viltà facile ed isterica che anima i progetti di “redenzione” dell’umanità.
Non ci si redime opprimendo la Vita. Ma guardandola in faccia e lasciandola andare. E l’omosessualità è Vita. E’ esperienza, è relazione, è parola, non un sussurro tra le lenzuola ma, come ogni espressione della Vita, annuncio di verità.