Nel novembre del 1994 viene approvato il testo del Manifesto Unesco sulle Biblioteche Pubbliche, precedentemente pubblicato nel 1972. Vi compaiono motivi essenziali circa il ruolo delle biblioteche, considerate luogo privilegiato di accesso alla conoscenza, condizione essenziale per l’apprendimento permanente, per lo sviluppo culturale dell’individuo e dei gruppi sociali. Alla luce di una valutazione di questa portata, all’interno del Manifesto, l’UNESCO incoraggia i governi a sostenere le biblioteche pubbliche e ad impegnarsi attivamente affinché possano coerentemente svilupparsi.
Per assicurare un efficiente servizio, l’uso della biblioteca pubblica deve essere gratuito; la sua gestione dipende dalla responsabilità delle autorità locali e nazionali, ragion per cui necessita di una legislazione e di finanziamenti. E’ quindi necessario che sia fatta parte essenziale di una strategia per la cultura, per la diffusione dell’informazione e dell’istruzione.
Parole come queste evocano certamente assensi, teste che ciondolano, sguardi che annuiscono.
Come non pensare ad alcune biblioteche storiche ed al ruolo fortemente vincolante che ebbero? La memoria viaggia nel tempo, è inevitabile: le supreme autorità statali miravano a favorire tanto la crescita culturale dei popoli a loro sottomessi, quanto (soprattutto) ad accrescere la propria gloria perenne, fatta di papiri e pergamene. E quindi tornano alla mente i Tolomei, e la magnifica biblioteca di Alessandria; Cesare e Augusto, i quali si fecero protagonisti dell’appropriazione di molte delle biblioteche egiziane; la biblioteca Ulpia dei tempi di Traiano; le raccolte private di Carlo Magno; e arriviamo a Francesco Petrarca, la cui passione per i classici lo spinse a sognare di mettere a disposizione – per un uso di consultazione pubblica – i propri testi, assieme a quelli di Boccaccio, presso un convento o un monastero.
La biblioteca fa quindi parte da sempre di un immaginario collettivo molto ampio, e la sua affermazione come istituzione attraversa un iter lungo, problematico, che vede i primi governi italiani posti di fronte all’esigenza di uniformare le legislazioni frammentarie già esistenti, che vede la promulgazione di un regolamento generale che uniformi usi e consuetudini delle biblioteche, che vede la proposta di un modello di comportamento unico a tutti i bibliotecari.
Al di là delle contingenze burocratiche che inevitabilmente fanno parte di ogni piano di organizzazione e riassetto, occorre sottolineare alcuni cambiamenti: il Ministero per i beni culturali e ambientali (istituito nel dicembre 1975), cui spettava l’amministrazione centrale e la coordinazione degli istituti volti al buon funzionamento dei servizi di biblioteca, viene spartito in quattro sezioni: Dipartimento per i beni culturali e paesaggistici; Dipartimento per i beni archivistici e librari; Dipartimento per la ricerca, l’innovazione e l’organizzazione; Dipartimento per lo spettacolo e lo sport.
Ad oggi, il governo si occupa del ‘caso biblioteche’ attraverso la Direzione generale per i Beni Librari, gli Istituti Culturali e il Diritto d’Autore.
Nonostante proliferino istituti addetti ai lavori, lo sguardo non cade su presunti programmi di rinnovamento e sviluppo delle biblioteche italiane – e non soltanto di quelle statali, ma anche di quelle universitarie e di quelle locali – bensì sul fenomeno del cosiddetto ‘taglio’. Gli italiani hanno avuto, negli ultimi tempi, spesso a che fare con la parola. “C’è crisi?” – “Allora è necessario tagliare le spese.”
Ebbene, in considerazione delle esigue risorse finanziarie a Sua disposizione, e di fronte alla necessità di una scelta, lo Stato ha scelto di privare le già povere tasche delle nostre biblioteche delle sovvenzioni che si sono rivelate vitali per la sopravvivenza delle stesse.
E quindi non esiste attività di ricerca e di elaborazione culturale valida che tenga: niente finanziamenti, niente biblioteche. Il fatto che dispongano di un enorme patrimonio bibliografico, archivistico, audiovisivo, musicale, cinematografico, poco vale di fronte alla dura legge del denaro. I battenti chiudono inesorabilmente, e l’eco delle porte che sbattono è difficile da contenere.
Le notizie volano a gran velocità.
Chiude la Biblioteca dell’Istituto Italiano degli Studi Filosofici di Napoli, una delle più importanti al mondo, che ospitava ben trecentomila volumi storici originali di inestimabile valore; la percentuale dei tagli negli ultimi anni è andata crescendo sempre più, per arrivare ad un triste 100%, che ha costretto Gerardo Marotta a far decadere completamente la sua biblioteca.
Chiude la Biblioteca Shahrazàd di San Salvario, a Torino.
Chiude la Biblioteca di Ponte di Nona, l’unica in Europa creata e gestita da detenuti ed ex detenuti.
Anche la Biblioteca Nazionale di Firenze sta subendo tagli continui, mascherati – come afferma il sindacalista della Confsa Unsa Learco Nencetti – al servizio.
Di fronte a notizie di tal genere, le proteste sorgono spontanee.
Le minacce dei tagli alla Biblioteca Satta di Nuoro hanno portato i cittadini a scendere in piazza e a ricorrere ad una simbolica (forse troppo) scelta di bruciare i libri per sottolineare il rogo culturale conseguente alla diminuzione delle risorse.
Il 12 novembre 2012 viene istituita una vera e propria mobilitazione nazionale a difesa del diritto alla cultura, promossa da Federculture e ANCI, cui hanno partecipato l’Associazione Italiana Biblioteche (AIB), la Conferenza delle Regioni, l’Unione delle Province Italiane e numerose altre associazioni. L’iniziativa prende il nome di “Porte chiuse, luci accese sulla cultura”, ed è nata con l’intento di denunciare il disimpegno e il disinteresse dell’intervento pubblico nel settore delle biblioteche, ridotte a istituti in grado di pagare esclusivamente stipendi e bollette della luce, senza poter investire nel potenziamento delle raccolte e dei servizi che tantissimi cittadini utilizzano quotidianamente.
Le cattive notizie hanno due lati della medaglia. Da un lato le proteste, dall’altro le proposte. Un atteggiamento distruttivo ha infatti poco di concreto e oltre che ad accendere un fuoco di paglia serve a poco altro. Il Fondo Ambiente Italiano (Fai) ha fornito alcuni numeri a proposito del patrimonio conservato nelle biblioteche e negli archivi del nostro Paese. Dinanzi al disarmante numero di biblioteche che oggi chiude, ha suggerito una riorganizzazione e digitalizzazione, per garantire la sopravvivenza e la consultazione in futuro di quelle risorse, anche attraverso l’uso delle nuove tecnologie. Tenendo conto del fatto che un passo del genere comporterebbe in ogni caso delle spese, per l’adeguamento di strumenti e personale all’innovazione.
Ciò che è evidente è che la mortificazione a cui siamo sottoposti con provvedimenti drastici e distruttivi come quelli degli ultimi governi è parecchio allarmante. Ciò che sorprende è l’incapacità di giudicare la portata di tali decisioni a lungo termine da parte di quelli dei ‘piani alti’. Sembrerebbe superfluo sottolinearlo, però – in queste condizioni – si rivela necessario: un Paese che non soltanto non fa nulla per crescere culturalmente ma taglia di continuo le gambe a tutti gli organi predisposti per farlo è un Paese che non ha ben focalizzato una realtà basilare. Nessun progresso economico sarà mai definitivo se non si pongono delle basi solide su cui fondare la tanto agognata crescita.