“È chiaro che l’armonia dei colori è fondata solo su un principio: l’efficace contatto con l’anima”
(Vasilij Kandinskij – Lo spirituale nell’arte)
“La prima parte della pittura è che li corpi con quella figurati si dimostrino rilevati […] mediante diminuzione delle magnitudini loro, e diminuzioni de’ loro colori”
(Leonardo da Vinci – Trattato della Pittura)
Per arrivare all’anima, alla pittura vera, alla spiritualità dell’arte bisogna passare dal corpo. Ma quanto è pesante! I colori sono il tramite per il quale sia Leonardo che Kandinskij riescono a liberarsi dal lordo del corpo per arrivare alla purezza leggera della pittura.
Leonardo comincia dall’anatomia. Il suo scavare nei tessuti, fra gli organi e i muscoli è innanzitutto metodo di conoscenza funzionale alla rappresentazione artistica, ma è anche tentativo di annullamento del corpo, privazione di volume delle figure sulla tela. Infatti, se come dice Paolo Mingazzini “alla dissezione delle varie parti segue la ricomposizione, attraverso il disegno, di ciò che era stato separato” (I Segreti del Corpo. Disegni Anatomici di Leonardo da Vinci), è solo sui disegni che Leonardo rende in maniera scientifica ed esattissima la figura umana. Questi disegni sono in bianco e nero. Nei dipinti c’è il colore, antagonista del corpo, arlecchino macellaio che si diverte a inibire la fisicità della materia. Quella “scienza della pittura” di Leonardo, che secondo Rodolfo Papa “radica l’arte nel corpo” (La rappresentazione della bellezza del corpo, in Il Corpo svelato: Etica ed estetica del nudo nell’arte), potrebbe essere vista invece come strumento di una metaforica disintegrazione del corpo attraverso il colore, protagonista nei dipinti leonardeschi. Del resto, per Leonardo “gli obietti, solo rendono all’occhio il loro vero colore e naturale” quando “quello [non è] corrotto da alcun corpo che li illumini” (Trattato della Pittura). Lo sfumato quindi, come tecnica per costruire la prospettiva e mischiare i colori sulla tela. Lo si vede bene nell’Adorazione dei Magi e nella Vergine con il Bambino e Sant’Anna. Il colore dà plasticità alla forma, la linea quasi scompare. La stessa che insieme al Punto e la Superficie aiuta Kandinskij a definire la sua pittura, “un pezzo di ghiaccio entro cui brucia una fiamma” (Punto, Linea, Superficie). Elementi, questi, funzionali alla forma che ci dà “la possibilità di entrare nell’opera, diventare attivi in essa e vivere il suo pulsare con tutti i sensi”. Kandinskij traduce forma con colore che “ha una forza, poco studiata ma immensa, che può influenzare il corpo umano, come organismo fisico” (Lo spirituale nell’arte). Libero dal peso della pittura realista che nasce come “desiderio pratico di fissare l’elemento corporeo transeunte”, sfuggito alla pittura naturalistica, approda all’arte pura attraverso la pittura compositiva “nella quale i residui del desiderio pratico possono essere eliminati totalmente” (La pittura come arte pura). Restano i colori che diventano titolo delle sue opere (Giallo, Rosso, Blu; Verde; Arancione e Viola) e simbolo stesso del corpo nelle diverse fasi della vita. Il bianco “è la giovinezza del nulla, o meglio un nulla prima della nascita”,mentre il nero “è come il silenzio del corpo dopo la morte, dopo il congedo dalla vita” (Lo spirituale nell’arte). Nel mezzo stanno i tubetti dei colori, loro sì entità corporee, “esseri straordinari [che] venivano fuori esultanti, festosi, riflessivi, fantastici, immersi in sé… vivi in sé e per sé, singolarmente dotati di tutte le qualità necessarie a condurre una vita autonoma e pronti in ogni momento a piegarsi spontaneamente a nuove combinazioni, a mescolarsi fra loro e a creare serie infinite di mondi nuovi.” (Sguardo al passato). Perché “il movimento è vita. La vita è movimento. L’anima cresce, come il corpo, con l’esercizio. Essa cresce, come il corpo, col movimento”. (Dove va l’arte nuova). O per dirla con Leonardo, “il moto è causa d’ogni vita”. (Codice Trivulziano, 36)