Da sempre esistono due categorie di pensiero: da una parte i pregiudizi, che la cultura popolare rifila indistintamente attraverso maschere ed etichette per forgiare a proprio gusto l’identità della donna, come se fosse necessario un intervento dall’alto perché questa possa meritare di esistere; dall’altra c’è l’indignazione e la dignità di ognuna di queste, le quali scelgono la strada della contestazione perché ottengano di essere rispettate.
Siamo negli anni ’70 del secolo XVII, D’Annunzio si sta appena affacciando alla scena culturale italiana e già viene ricordato per i suoi stravaganti comportamenti, per la scandalosa vita che conduce, per gli amori lascivi e per gli altrettanto lascivi contenuti erotici della sua produzione letteraria. Il suo è un crescendo: prima di abbracciare totalmente il mito del superuomo, condizionato dalla corruzione e dal forte senso di disfacimento di cui si circonda, a Roma scrive di cortigiane del ‘300 e ‘400, descrive spinte scene di sesso. Ma cosa scandalizza di più? Che si parli pubblicamente della donna in certi termini, o che esista realmente un tipo di donna ammaliatrice e dominatrice?
Di fronte ad una società benpensante, che ha fatto dell’adorazione della bellezza della donna e della sua canonizzazione un punto focale dell’intera tradizione letteraria, correre allo scandalo è la reazione più spontanea (per non dire scontata) che ci si aspetterebbe. Siamo passati dal “Sii bella e stai zitta” del Classicismo al “Non esiste altro ruolo che quello che ho scelto io per te“.
Dal 1895, con la nascita della psicanalisi, e la pubblicazione di opere come Saggi sulla sessualità da parte di Freud, in cui si analizzano e disvelano nevrosi e problematiche che sono sottese a specifici comportamenti sessuali, si accendono i fari su un aspetto – quello erotico – che inevitabilmente si riversa sulla letteratura. L’impulso sessuale diventa un nuovo atteggiamento, un nuovo punto di vista. Il nuovo mezzo di comunicazione. Se quindi, a partire da questo momento, si afferma un nuovo approccio a certe tematiche, che vengono più liberamente sdoganate rispetto al passato, si riscontrano anche strane reazioni. Non soltanto la donna diventa la nuova eroina dei romanzi solo perché rappresentata in tutto il suo fascino erotico, ma – tranne varie eccezioni – diventa l’unica prospettiva con la quale guardarla. Con rare eccezioni.
Il Novecento diventa ancora una volta teatro di una svolta non indifferente, dai costumi alla cultura.
Nel 1934 Henry Miller firma Tropico del cancro, in cui sono esplicitamente descritti gli incontri sessuali del narratore, anche se non ne fanno il motivo principale della narrazione. Fu pubblicato negli Stati Uniti soltanto nel 1961, portando ad un processo per oscenità, spingendo ad applicare le leggi americane sulla pornografia.
Vladimir Nabokov pubblica a Parigi, nel 1955, lo scabroso Lolita, romanzo centrato su un rapporto incestuoso e pedofilo, dopo una serie di rifiuti da parte di case editrici che imposero vanamente allo scrittore pesanti modifiche e manipolazioni del testo originale. Il provincialismo è ancora dilagante.
Nel 1959 Vitaliano Brancati pubblica Il bell’Antonio, romanzo che racconta la vicenda di Antonio Magnano, giovane sensibile e di bella presenza, assai amato dalle donne ma purtroppo afflitto da impotenza sessuale che ne scalfisce l’onore. Il pettegolezzo passa di bocca in bocca nella Catania degli anni ’30, nel clima bigotto e censurato imposto dal regime fascista.
Ma è soprattutto con gli anni Sessanta che, nella cultura letteraria di base, le spinte di un’ondata di trasgressività si moltiplicano: la vecchia tradizione tardo ottocentesca viene stravolta a favore di moduli più aggressivi, disinibiti, spudorati. I giovani si rivelano più irrequieti di quanto non fossero stati coloro che erano cresciuti nel clima soffocante del fascismo.
Il 1966 è un anno importante per un campo specifico della produzione scritta, quello erotico – pornografico. In Italia, sotto l’influsso offerto dalla rivista Playboy, nascono settimanali come Men, Playmen, editi da Balsamo e poi da Tattilo. Nasce la stampa per maschi, attraverso il trionfo del nudo femminile, facendo ricorso ad un linguaggio fatto di parole e immagini disegnate.
Il 1966 è l’anno di Isabella duchessa dei diavoli, fumetto per adulti, che racconta le vicende d’amore e d’arme della protagonista, e le sevizie sessuali che le capitano accrescono l’entusiasmo dei lettori eccitati.
Tutto sembra predisposto per l’arrivo del Sessantotto, che nasce con il chiaro intento di rifondare un sistema di valori universali che si erano mostrati insufficienti e inadeguati. L’ondata di contestazione assume i caratteri di un’insurrezione antiautoritaria, dissacrante, libertaria e libertina. E’ giunta l’epoca della liberalizzazione dei costumi, che porterà con sé una serie di rinnovamenti, dalla crisi del pilastro del sistema sociale – la famiglia – al divorzio, dalla procreazione al di fuori del matrimonio all’aborto e alla vendita di contraccettivi. In Italia, è ancora forte il peso della tradizione cattolica (il divorzio sarà legalizzato soltanto nel 1970). Si chiede la parità dei sessi, come giusto risarcimento ad una vita di insofferenze ed ingiustizie. E quale occasione migliore di questa per farlo?
La letteratura abbraccia quindi le novità, e si rivoluziona attraverso la rottura delle convenzioni espressive più melense, con un atteggiamento di indifferenza per le norme del decoro e le buone maniere, attraverso il rifiuto d’ossequio alla tradizione. In Francia si afferma una vera e propria narrativa licenziosa, come ricordano i romanzi Histoire D’O ed Emanuelle.
Quello che meraviglia è però un dato che considero allarmante: farsi promotori di rivoluzioni e idee di emancipazione è un conto, essere capaci di accettarle un altro. Ecco così che subito si grida allo scandalo, tanto più perché storie così spinte sono firmate da donne, perché sulla carta viene sviscerato il punto di vista femminile.
Allora l’ansia di cambiamento di questi anni si concretizza esclusivamente nella produzione di stampe volte a manipolare, divulgare e strumentalizzare l’evoluzione dell’immaginario collettivo?
Quello che risulta chiaro è che si da’ il la ad una narrativa dell’intrattenimento più all’avanguardia di altre. L’ondata di trivialità non può non contagiare e ottenere un consenso largamente entusiastico.
Ma non si esaurisce tutto nel periodo postsessantottesco, poiché non è ancora stata scoperta la sessualità donnesca vissuta impavidamente dalla parte della donna, in maniera intima. Con Un uomo, di Oriana Fallaci, sulla carta campeggiano passioni tempestose vissute da una superfemmina ignara dei sentimentalismi meschini piccolo – borghesi.
Dopo anni, nel 1989, grande eco riscuote Volevo i pantaloni, dell’esordiente e diciannovenne Lara Cardella che romanza la condizione dell’adolescenza femminile nel Meridione, puntando al messaggio di una mentalità aperta e progressista contro il maschilismo e l’ottusità mentale della famiglia.
Al giorno d’oggi il clima è sicuramente differente. Quello che è accaduto è che la naturale evoluzione del pensiero sulla donna è sfociata in una sua strumentalizzazione. Nel momento in cui si è smesso di gridare allo scandalo, il rovescio della medaglia è stato inevitabile. Una grande parte della società continua a fare tutt’ora del corpo della donna uno strumento di soddisfazione della propria libido, senza considerare il fatto che non ci si trovi dinanzi ad un oggetto, ma ad un soggetto pensante, libero o meno di ricorrere ai modi espressivi più consoni alla propria personalità, senza che si parli necessariamente di “sposa o puttana”. Eppure i pregiudizi continuano, e tutta la fascia di donne femministe che continuano a battersi perché questo non accada è un chiaro segno che non ci siamo, non siamo ancora giunti alla vera libertà.