dopo aver fatto l’amore mi veniva sempre fame.
anche dopo una scopata, comunque.
sempre.
ed era sempre l’uomo della mia vita. ogni volta. tutte le volte.
gli uomini hanno un gusto. un sapore. un odore. che sono più importanti del nome, del luogo, dell’ora. gusto sapore e odore, è difficile ricordarli tutti.
mi ricordo però che dopo avevo sempre fame. tutte le volte mi veniva fame di qualcosa.
ecco, io mi ricordo bene di cosa ho avuto fame dopo ciascun uomo della mia vita.
esattamente. chirurgicamente.
me lo ricordo come se fosse ieri.
il primo. il primo me lo ricordo meglio di tutti.
merendine in busta chiusa. avevo una fame vorace di merendine in busta chiusa. mentre ero con lui non sentivo niente. come se fossi trasparente. tutto quello che sentivo, lo sentivo dopo, da sola, in cucina, mentre mordevo il sapore di plastica all’alcol delle merendine.
era biondo, e giovanissimo. e anch’io ero giovanissima, e all’epoca non mi sembrava poi una bella cosa. volevo essere vecchia. e ridere di me stessa ed essere sazia e al di sopra di tutti i dolori del mondo. anche adesso, non sono mai vecchia abbastanza. la giovinezza non mi è mai piaciuta. troppi dubbi, troppi incubi, troppa tenerezza.
con il giovane biondo furono tutte prime volte. lui non sapeva mai da che parte cominciare ed io nemmeno. così, ogni volta finiva senza che ci avessimo capito molto.
la sua camera era quella di un bambino cresciuto ma ancorato all’infanzia. fumetti, vestiti buttati in giro senza rispetto, una radio rotta, adesivi incollati nei posti sbagliati, quaderni lasciati a metà. un letto minuscolo e sfondato dove facevamo quello che avevamo imparato.
e io dopo finivo in cucina, a spacchettare la ricompensa.
lui non l’ha mai saputo, delle merendine.
a una donna è concesso il privilegio di rinchiudersi al bagno, dopo.
dormire? qualcuna lo fa. ma è una cosa da maschi.
e io sono proprio una donna. da sette generazioni. cioè, da sette vite.
e non dormo. però al bagno ci metto poco.
sono veloce. strano no? è l’unica cosa maschile che ho. le donne in certe cose sono lente. invece io no. la valigia la faccio in un minuto. se mi citofoni scendo subito. il rossetto ce l’ho su dalla nascita. corro perfino su un tacco 12.
e per andare con un uomo non ci penso mai più di due volte.
potrei sempre cambiare idea, no?
insomma al bagno ci metto poco. così ne approfitto e vado in cucina. ci andavo, cioè.
all’epoca del biondo, dividevo le merendine con il suo cane, un labrador cattivo che si vendeva il silenzio in cambio di mezza confezione. gli tiravo i pezzi al volo e lui era vorace e gelido, e forse per quello mi piaceva: perché era come me. non mi ha mai morso, tranne una volta.
saccottini alla marmellata, i primi tempi. poi girelle. poi cornetti, quelli un po’ di plastica.
i kinder sono arrivati dopo: dulcis in fundo. ma finì con un buondì. si sa, le storie finiscono sempre per futili motivi. vuoi mettere un kinder con un buondì?
il labrador mi morse quella volta. io non lo volevo, quel buondì, e lui nemmeno.
glielo tirai intero, ma gli non piacque e mi morse sulla pancia, vicino all’ombelico. mi fece male, uscì del sangue, ma non emisi un suono. me lo meritavo. ancora oggi coltivo quella cicatrice come se fosse una medaglia d’oro. lo soppressero, perché mi aveva morso.
io smisi di essere una bambina con un buondì tra le mani.
con il biondo finì bene, come una confezione di merende che non ti va più e non ne compri un’altra.
ma la fame non mi passava mica. non mi passava mai.