“Si certamente, se domani è bello” disse la signora Ramsay. “Ma ti dovrai svegliare con l’allodola” aggiunse. Al figlio queste parole dettero una gioia straordinaria, come se fosse ormai deciso che la spedizione ci sarebbe stata senz’altro, e il miracolo atteso, gli sembrava, da anni e anni, fosse ora a portata di mano, dopo le tenebre di una notte e la navigazione di un giorno.
Comincia con queste parole il romanzo di Virginia Woolf Al faro (To the lighthouse titolo originale), libero e innovativo che gira intorno ad un tema che invece lega e ricalca le radici di un individuo: la memoria e ancor meglio i ricordi dell’infanzia che la memoria conserva nell’arco della vita. Una gita al faro diventa per la Woolf una gita tra le sue esperienze, pezzi di vita vissuti che la sagacia della sua penna riesce a rappresentare su un foglio. C’è tanto della scrittrice in questo libro, tanto della sua infanzia, del suo rapporto con i genitori, della sofferenza di dover affrontare a soli tredici anni la scomparsa della madre, della forza di andare avanti lasciando che un’opera diventi il modo per ricordare e onorare la sua famiglia. Così come il faro illumina di notte, questo libro, che vive di alcune pagine di pura poesia da far venire la pelle d’oca, illumina il cuore e la mente: è il faro la destinazione alla quale la Lily/Virginia arriva e da dove parte in un flusso continuo di parole capaci di accarezzare i sentimenti e gli attimi, a scandire il tempo e a rallentarlo facendolo diventare qualcosa di tangibile.
Sapeva che s’era voltato, e la guardava. Sapeva che pensava, sei più bella che mai. E si sentì bellissima. Non mi dirai mai neppure una volta che mi ami?
Il libro si divide in tre capitoli: La finestra – Il tempo passa- Il faro. Al centro del romanzo la famiglia Ramsay, la loro gita estiva, il faro, meta ambita dai bambini, specie da James e motivo di scontro tra i genitori. Poi il tempo, la grande guerra, la morte della signora Ramsay, il difficile rapporto dei ragazzi col padre, la pittrice Lily Briscoe e il poeta Carmichael e quel quadro della casa dei Ramsay che Lily cerca di dipingere e che riuscirà a concludere solo alla fine. Con l’epilogo del romanzo dunque il faro è rappresentato e con questo anche il lutto della Woolf. Come la scrittrice stessa dirà a proposito del suo lavoro: “Fino a quarant’anni e oltre fui ossessionata dalla presenza di mia madre… Poi un giorno, mentre attraversavo Tavistock Square, pensai Al faro: con grande, involontaria urgenza. Una cosa ne suscitava un’altra… Che cosa aveva mosso quell’effervescenza? Non ne ho idea. Ma scrissi il libro molto rapidamente, e quando l’ebbi scritto, l’ossessione cessò”
Pochi eventi dunque e tanti pensieri: monologo interiore della Woolf, dei suoi personaggi che pur intenti a far qualcosa sono con la mente altrove e col cuore presenti, un cuore che resta celato, per educazione rigida, come nel caso del rapporto coniugale dei signori Ramsay, delle paure di James, delle titubanze della pittrice Lily. Un cuore che non parla, che non si manifesta. A conclusione di questo libro, ritratto della famiglia patriarcale del Novecento, emerge chiaramente che sebbene l’autorità sia all’apparenza nelle mani del padre, è la madre il vero centro e per i personaggi del libro e per la Woolf stessa.
Al faro è un inno all’amore e alla riconoscenza verso la persona che di fatto è stata il vero faro per la scrittrice: la madre. Virginia Woolf la saluta così, attraverso queste pagine di pura poesia, con una esaltazione silente e profonda.