Abbandonai la mia vecchia vita qualche giorno fa. Ci è voluta molta fatica prima che uscissi da quella sorta d’involucro. Passai per la cavità che il vecchio e morente animale che mi ha preceduto aveva appositamente preparato per me attraverso il suo corpo, con profusione e con cura. Ora essiccato al sole come un residuo organico irriconoscibile. Appena uscito rimasi un po’ di tempo con le ali ripiegate sul mio addome. Fu un istinto naturale quello di espanderle il più in fretta possibile prima dell’indurimento. Ora che mi osservo con i nuovi occhi posso constatare che ne è valsa la pena, evitando una deformazione che mi avrebbe col tempo soffocato.
Nell’attimo esatto in cui venni al mondo riconobbi la pianta che mi aveva coperto dai raggi del sole. Una goccia di rugiada cadde repentina sul prato, mentre i raggi filtrarono tra le foglie colorando il mondo di una luce calda e palpitante.
Sarò eternamente grato all’animale che mi ha preceduto, la sua vecchia vita ne ha generata una nuova. Non conosco ancora del tutto le motivazioni che sottendono questo processo evolutivo, ma la vita che mi ha colto e che mi ha preso dal liquido primordiale ha fatto in modo che la terra e il cielo mi abbracciassero. Quella vecchia sembianza, con la quale ho strisciato per il mondo, sembra giungermi come un lontano ricordo.
Il giorno, la notte e l’eterna ripetizione degli astri sembrano infinitamente grandiosi innanzi al mio essere. Tutto ruota con una regolarità impressionante, nessuna geometria, anche la più ragguardevole, potrebbe misurare la magnificenza di tale perfezione. Rimasi quasi esterrefatto quando constatai, nel momento in cui per la prima volta i miei occhi si rivelarono al mondo, la staticità di un limpido cielo, come se quella immobilità volesse inghiottirmi. Quando poi guardai sorpreso il movimento frettoloso delle nubi sentii dentro il mio corpo, ancora sporco dei detriti viscidi del parto, una serenità che adesso mi risulta difficile descrivervi.
Spesso volo dove sta il fiume. Dicono che sono nato proprio dove scorre uno dei fiumi più grandi al mondo. Cavalcando come una tigre, il suo perpetuo scorrere sembra voglia dire ai pescatori indigeni e alle popolazioni circostanti che non devono temere la sua fine, che sarebbe restato lì a dar suono alla terra fin quando quest’ultima sarebbe esistita. In alcuni periodi dell’anno il fiume si alza di una decina di metri inondando la conca. Per smaltire l’acqua in eccesso il fiume, animandosi come impossessatosi anch’esso di uno spirito, scorre attraverso le sue braccia che si prolungano come rami d’albero fin dentro la vallata, ognuna delle quali va arenandosi in un piccolo laghetto. Nei pressi di questi enormi accumuli d’acqua, gli uomini amano costruire le loro case, lavorare i campi, custodire il bestiame e moltiplicarsi attraverso quel piacere che la riconciliazione umana sola può dare.
Ho ancora tempo per vedere i fanciulli correre mano nella mano intenti a giocare. Mi divertono, ma non posso ridere come loro, sono congenitamente impedito anche nel tentare di farlo. È un’emozione, questa che gli uomini chiamano con innumerevoli nomi, nella quale sono impossibilitato ad entrarci. Si, entrare in questa emozione, perché ci si entra per non tornare.
Posso volare, qualcuno ha voluto che nascessi con questo dono che alimenta i sogni degli uomini. Loro ci imitano spesso, lo hanno fatto tante volte. I bambini imitano il volo degli uccelli spalancando le braccia e correndo col capo chino attraverso la foresta, incantata dalle loro urla. Spesso mi poso su una foglia cercando di non farmi uccidere e scruto tutti quelli che decidono di arrampicarsi, non certo con poco coraggio, sull’albero più grande, nel vano tentativo di toccare il cielo. I pochi che ci riescono allungano le braccia con lo sguardo fisso e il collo proteso a quell’azzurro infinito, affinché la luce cristallina e pura dei loro occhi possa riempire e scuotere ciò che sembra eternamente vacuo e immobile.
La vera morte per quelli della mia specie non arriva dopo un paio di settimane, ma cala come ombra leggera sulle nostre membra senza cuore quando giunge lo scoramento d’animo alla vista di quel sorriso, che manca dall’alba dei nostri giorni, quando risultiamo assenti a quello stato febbrile che attenta alla vita come un miracolo, quando si resta un sogno e nulla più. Quel sogno che, con voli cadenzati, sulle nostre ali colorate sembra il mediocre riflesso di Dio.