Il promemoria sul cellulare di Antonio Z. diceva “Ultima Volta”. Era seduto alla sua scrivania al terzo piano della Boomberg LP; dalla finestra scorgeva le guglie illuminate del Duomo.
Era ora di andarsene. Antonio Z. prese il telefono, pigiò il tasto “Stop” per interrompere il suono intermittente, spense il computer, si infilò il cappotto e si diresse verso l’ascensore.
Il trillo del cellulare lo avvisò di un nuovo messaggio, infilò la mano nella tasca e diede un rapido sguardo:“Tanti auguri!”. Antonio Z. compiva quarant’anni. La frenesia della giornata glielo aveva fatto dimenticare. C’era stato l’annuncio della Banca Centrale Europea: un altro aumento dei tassi d’interesse e lui aveva fatto su e giù per le scale del palazzo a vetri almeno cento volte. Antonio Z. voleva solo che quella giornata finisse, voleva godersi la sua “Ultima Volta”. Quaranta, cifra tonda, se lo meritava. Dopo quella volta però avrebbe smesso, aveva promesso: davvero l’ultima.
Antonio Z. camminava veloce verso casa e pensava a tutte le altre volte. Tornava con la mente alla prima, ricordava com’era nato il suo desiderio e riscontrava quanto fosse migliorato grazie all’esperienza.
Antonio Z. arrivò davanti al suo portone, infilò la chiave nella toppa e salì al quinto piano. Abitava da solo da dieci anni, da quando aveva deciso di ricoverare sua madre in clinica. Dopo la morte del padre lei si era ammalata di Alzheimer e lui non ce la faceva a prendersene cura. Anche la sorella di Antonio Z. era stata d’accordo; lei era sposata e aveva tre figli a cui badare. Lui si era tenuto la casa ma provvedeva a tutte le spese per sua madre.
Antonio Z. si tolse il cappotto e si diresse in camera sua. Si levò giacca e pantaloni e li posò su una sedia; sfilò la camicia e andò nel bagno per iniziare il suo rituale. La sua ultima volta sarebbe stata con Monique, era lei la favorita. Certo, anche Chantal non era male, e poi Sabrina, con lei si era divertito, ma Monique era l’unica che sapeva farlo impazzire.
Antonio Z. cominciò a radersi con precisione, voleva che la pelle del viso fosse totalmente liscia. Si pettinò i capelli neri e li cosparse di gelatina per tenerli ordinati e immobili. Tornò in camera e preparò i vestiti sul letto. Decise che Monique avrebbe indossato minigonna nera in vinile e camicia dorata; tacchi a spillo e cappotto di pelle con il collo di volpe argentata.
Antonio Z. si sedette alla sua scrivania, aprì il cassetto ed estrasse i suoi attrezzi. Per prima cosa il cerone, aveva imparato a spalmarlo con cura sul viso per coprire le imperfezioni e i bulbi piliferi testimoni della barba. Successivamente la matita per evidenziare il contorno dei suoi occhi blu; ciglia finte e ombretto colorato davano poi un tocco di perfezione. A quel punto raccolse i capelli sotto una sottile calotta di nylon cui avrebbe fatto aderire una lunga chioma.
Antonio Z. si alzò e si vestì. Corpetto di lycra color carne a mascherare la villosità dello sterno, perizoma, reggiseno di pizzo nero, che riempiva con due mezze sfere di silicone che giocavano il ruolo di una terza misura, calzamaglia coprente, minigonna, camicetta e sottili tacchi a spillo. Mancava il rossetto rosso, e da ultima la parrucca bionda. Una pettinatura selvaggia, frangia pesante a nascondere la fronte mentre il resto dei capelli erano scalati con un’acconciatura spettinata ma ricercata. Antonio Z. infilò il cappotto con il collo di volpe argentata, indossò un paio di guanti di seta nera, mise la borsetta a tracolla e si ammirò allo specchio.
Benvenuta, Monique, si ripeteva con la voce in falsetto su cui si era allenato negli anni, stasera ti farò divertire.
Uscì e fermò un taxi, non aveva una meta precisa, voleva solo mischiarsi alla gente. Monique decise per l’Exotic Garden, c’era buona musica e avrebbe potuto bere un bicchiere con qualcuno, magari ce l’avrebbe fatta ad andare fino in fondo. Entrò e si diresse al bancone soddisfatta per l’ammirazione del pubblico maschile. Monique ordinò un long island. Non era ancora arrivata al terzo sorso quando un uomo in abito grigio si accomodò accanto a lei. Era Vittorio Dejudice, il caporedattore nella divisione di Antonio Z. Monique restò impassibile ma quando l’uomo cominciò ad adularla decise che voleva divertirsi, dopo tutto era il suo compleanno. Accettò che Vittorio le offrisse da bere. Gli parlava sottovoce misurando con attenzione la sua tonalità.
Fra poco me ne vado, si ripeteva Monique, un ultimo sorso e poi lo lascio perdere.
Vittorio continuava, rideva, le cingeva la vita, accarezzava la sua coscia. Monique ordinò un altro giro.
“Questo lo offro io” dichiarò mentre faceva un cenno al ragazzo dietro al bancone. Un’ultima bevuta e poi via di qui, si diceva, devo andarmene prima che sia troppo tardi. Vittorio stava diventando molesto, le sue mani esploravano le gambe di Monique, poi le cosce e poi ancora più su fino al basso ventre. Lei si divincolava mentre armeggiava nella borsa alla ricerca del portafogli e proprio mentre Vittorio scoprì che Monique aveva quella qualità che manca ad una donna, sul pavimento cadde il tesserino di Antonio Z.
Era lui, c’era la sua foto e il nome della società. Monique raccolse i pezzi e fuggì. Vittorio la seguiva, diceva che voleva capire. Monique correva, non c’era tempo per il taxi, non poteva fermarsi. Devo scomparire, si diceva, domani non ricorderà nulla, in fondo era ubriaco penserà che sia stato un brutto sogno. Monique correva, ma Vittorio era più veloce. Nel vicolo dietro all’Exotic Garden, nei due metri di strada sotto al ponte della ferrovia, Vittorio fermò Monique. Le arrivò da dietro, le afferrò la cintura del cappotto e la buttò contro il pilone di cemento del cavalcavia. Vittorio le bloccava le spalle mentre le chiedeva chi fosse veramente. Monique non parlava. Vittorio le afferrò i capelli con decisione e tirò forte fino a che lo scalpo di Monique non restò fra le sue mani. Fu solo allora, quando Vittorio Dejudice rimase attonito ad osservare la chioma bionda posticcia, che Monique reagì. Si tolse una scarpa e cominciò a colpire, con furia. Prima sulle braccia di Vittorio, poi sulle sue spalle, gesti convulsi nel vuoto, urla di rabbia e poi un ultimo colpo, giù nella tempia, con foga soddisfatta. Vittorio cadde a terra esanime. Monique si guardò intorno, raccolse la sua chioma bionda, ripulì il tacco della scarpa sul cappotto di Vittorio e se ne andò verso casa. Arrivò davanti al portone, salì al quinto piano, entrò in casa, si tolse il cappotto e ripulì dagli schizzi di sangue il collo di pelliccia argentata. Si spogliò e si infilò sotto la doccia per mondarsi.
Antonio Z. tornò in camera, ripose nell’armadio gli abiti rimasti sul letto insieme alla parrucca bionda e salutò Monique, per l’ultima volta.