Chi ama i libri, chi li ama davvero, chi ritiene che leggere rappresenti una delle funzioni vitali primarie si sarà di certo più volte trovato in discussioni e litigi, magari anche sopra le righe, furioso e con le guance arrossate, con qualcuno pronto a difendere i propri gusti brandendo pagine rilegate ben bene da un astuto editore la cui sola definizione di “libro” provocava al lettore di cui sopra una vera e propria orticaria. Il lettore è un essere intransigente perché quel che per altri rappresenta uno svago è per lui necessario al pari del mangiare, del dormire e via così. E poi, sempre nella stessa discussione, avrà di certo ricevuto lo schiaffo morale nella forma della frase a lui rivolta: non si può mica sempre leggere “Guerra e pace”? Quasi sempre sentendosi sconfitto, a questo punto il lettore batterà in ritirata, impossibile perorare ancora le sue ragioni, lui che non disdegna la letteratura leggera, quella d’intrattenimento, purché sia ben scritta, vorrebbe solo non dover udire le frasi: Fabio Volo è il mio scrittore preferito, o Cinquanta sfumature (di un colore a caso) per me è un bel libro. Vorrebbe fosse rispettato il minimo sindacale, nulla più; in un paragone culinario, il fatto che nell’acqua in cui bollire la pasta ci debba andare il sale e non lo zucchero (se poi uno ci vuol mettere lo zucchero lo faccia, ma non dica che è la regola!).
In questa letteratura d’evasione, perché non si può leggere sempre “Guerra e pace”, rientra senza dubbio il mio incontro con “La psichiatra” di Wulf Dorn. La protagonista Ellen, psichiatra appunto, nella clinica in cui lavora incontra una una paziente in un forte stato di shock, terrorizzata dall’uomo nero, e che ripete una litania agghiacciante. Quando la paziente d’improvviso scompare nessuno, tranne Ellen, pare non solo sapere dove sia ma addirittura averla mai vista. Ellen, il cui compagno è via, si ritrova catapultata in una sorta di incubo ad occhi aperti: la follia è il tema cardine della trama non solo per la professione della protagonista e per i luoghi in cui la vicenda si svolge, ma anche nel suo modo di avviluppare persone e ricordi, simile ad un cancro ma molto, molto più spaventosa. La trama, di cui non aggiungerò altro essendo comunque un giallo e odiando io in prima persona chi rivela ad altri i finali dei gialli, non è originalissima, non solo già letta ma anche già vista in numerosi film che giocano sul tema del labirinto della psiche. Lo stile non è eccezionale ma quel che lascia in particolare a desiderare sono i dialoghi: forzati e a tratti banali, restituiscono una dimensione innaturale che, stoppando la narrazione con la freddezza di ciò che è artificioso e astratto, tende a interrompere a tratti il coinvolgimento e la credibilità della e nella lettura. Peccato anche per alcuni nodi che l’autore dimentica di sciogliere alla fine della trama, vorrà dire che dovremo sopperire noi, con la nostra immaginazione, qualità che a chi ama leggere di certo non manca.
Paradossalmente è possibile che, questo libro, non soddisfi proprio le esigenze dei più affezionati del genere mentre possa rappresentare per chi, come me, è solito solo fare sporadiche incursioni tra gialli e thriller, un piacevole diversivo vista la scorrevolezza della trama e lo scontato ma ben costruito colpo di scena.
Questa lettura, lo ammetto, è stata pretestuosa, perché è vero: non si può sempre leggere “Guerra e pace”. Magari si potesse e ci fossero più autori capaci di tali capolavori, ma è pur vero che esistono numerose sfumature tra capolavoro e schifezza, e questo libro è una delle tante. Chiedo scusa a tutti per aver usato l’espressione “sfumature”… lo confesso, quella che litigava ero io.