Nei programmi scolastici di storia della letteratura poca giustizia è resa a colui che a buon diritto può dirsi un insigne rappresentante del realismo magico, la corrente di pensiero ed artistica figlia del neorealismo.
Dino Buzzati nacque il 16 Ottobre del 1906 in uno dei luoghi più suggestivi d’Italia: Belluno, circondata dalle irte vette dolomitiche che amerà sin da ragazzino. La sua amena terra natia ispirerà una parte della sua produzione fantastica, a partire dal suo primo romanzo “Barnabò delle Montagne” che ebbe un discreto successo di critica, e da “Il segreto del Bosco Vecchio” trasposto in chiave cinematografica negli anni “90. Buzzati crebbe in un ambiente stimolante che sostenne le sue inclinazioni specialmente in campo musicale ed artistico. Sin da ragazzino amava suonare il pianoforte ed il violino e cimentarsi nelle arti figurative, sintomo di una sensibilità ed una profondità emotiva che lo porteranno anni dopo ad abbandonare gli studi di Diritto scegliendo la carriera letteraria.
Nel 1928 iniziò una collaborazione giornalistica con il Corriere della Sera che diventerà un sodalizio per l’intera vita dell’autore e dal suo ufficio di Via Solferino 28 scrisse non solo di cronaca, ma i suoi numerosi racconti pubblicati a puntate come “I sette messaggeri”, “Paura alla Scala”, “Il crollo della Baliverna”, “Esperimento di magia”, “Il colombre”, “Le notti difficili”. Con i “Sessanta racconti”, che comprendevano le raccolte precedenti, vinse il Premio Strega nel 1958.
Dobbiamo però fare un passo indietro per comprendere il successo di Buzzati.
Era il 1940 quando scrisse e riuscì a pubblicare il suo romanzo d’elezione: “Il deserto dei tartari”, frutto dell’esperienza di cronista durante la Campagna di Etiopia ed opera che racchiude il suo pensiero. L’esperienza surreale del tenente Giovanni Drogo, il protagonista del romanzo, è la chiave ontologica del pensiero del nostro scrittore che riflette con pessimismo sul ripetersi monotono dei fatti della vita senza che questi portino ad un evento davvero significativo, che possa dare senso ad anni di attesa se non l’affrontare con dignità e stoica consapevolezza la morte, da qui la metafora dell’attacco dei Tartari.
“Rischio di morte è il nascimento” scriveva Leopardi nel suo “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” ed in effetti come il protagonista leopardiano, così Drogo s’interroga ad un certo momento della sua esistenza sospesa nella Fortezza Bastiani sul senso di quella impresa, della sua stessa vita.
Sino agli anni immediatamente successivi al secondo dopoguerra in Buzzati fu totale la delusione nei confronti della società del tempo che alle vittime di veti ed imposizioni non riservò altro se non oblio ed indifferenza. Quei mondi sospesi in atmosfere quasi irreali costituiscono un nucleo magico che mitiga lo sconforto dell’autore nei confronti di una realtà che pur descritta nella sua concretezza viene trasportata in una dimensione quasi metafisica,il realismo magico di cui si parlava all’inizio.
Negli anni “60 Buzzati si volse ad analizzare il tema amoroso. Scrisse il romanzo “Un amore”, vicenda sentimentale tra l’ormai maturo Antonio Dorigo ed una giovane donna di vita. Probabile l’impronta autobiografica dal momento che lo stesso Buzzati si abbandonò al sentimento amoroso alla vigilia dei 60 anni ma in questo suo romanzo lo scrittore indaga sull’alienazione e la sconfitta della personalità derivante dalla relazione di Dorigo, una vittima non solo del cerchio amoroso, nel frattempo diventato triangolo, ma di se stesso, della sua viltà nel non affrontare le menzogne e le ingiustizie subite dall’amata. Sogno e realtà si fondono come in altre sue opere ma qui avviene un netto distacco tra le due cose, una sospensione di due ambienti e schemi vitali. Uno schema legato al bisogno di amore ed alla rassegnazione a questo bisogno, l’altro all’esigenza di sopravvivere nella giungla ingiusta e terribile della realtà metropolitana abbarbicandosi dietro le convenzioni e le apparenze della vita borghese. Di Buzzati, che ci ha lasciato nel 1972,restano oltre ai memorabili scritti divenuti un classico da biblioteca, numerosi bozzetti fumettistici e pitture ad olio figli della sua reale passione:
“La pittura per me non è un hobby-diceva spesso– ma il mestiere. Hobby per me è scrivere. Ma dipingere e scrivere per me sono in fondo la stessa cosa. Che dipinga o scriva, io perseguo il medesimo scopo, che è quello di raccontare delle storie”.