Marco Terenzio Varrone occupa uno spazio autonomo nella storia della letteratura latina. Le sue opere hanno goduto di una notevole fortuna, e già dai contemporanei fu considerato un’autorità indiscussa sul piano storico-antiquario e linguistico: davvero variegata la produzione pervenutaci, che spazia dal trattato sull’agronomia – il De re rustica – a quello sulla propria lingua – il De lingua latina – fino ad una serie di scritti a carattere enciclopedico e storico-filosofico.
All’interno di questo corpus, le Saturae Menippeae hanno favorito il dibattito della critica sulla fortuna di Varrone e sul senso della sua letteratura. Lo scrittore di Rieti si confronta con una prestigiosa tradizione che faceva capo a Menippo di Gadara: filosofo vagabondo di orientamento cinico, quest’ultimo aveva di fatto creato una nuova e stravagante forma letteraria, che da lui avrebbe preso il nome. Elementi seri mischiati ad elementi comici, versi e prosa, realismo e fantasia: nei componimenti di si trova tutto questo, legato indistricabilmente, con il collante di un tono che è quello tipico della predicazione popolare. Se a noi magari non toglie il sonno, pensiamo ai nostri antenati: nel III secolo a. C., quando Menippo predica e scrive, siamo di fronte ad una vera e propria rivoluzione. Fino ad allora troneggiava la teoria della non mescolanza degli stili: tema alto e serio – stile tragico, tema basso e comico – stile comico. In più,l ‘azione di Menippo si caricava di una valenza sovversiva, invitando alla disobbedienza nei confronti delle istituzioni e, sul piano filosofico, all’estinzione di ogni desiderio e bisogno.
I 150 componimenti di Varrone, di cui solo una parte è giunta a noi, si ispirano proprio al modello di Menippo di Gadara. Scritte in forma di prosimetro, di argomento vario e tono moraleggiante, le satire dello scrittore romano si differenziano però dal modello per i contenuti: lo spirito anticonformista e trasgressivo cede il passo ad un’ideologia conservatrice, che inneggia agli antichi usi e costumi di Roma antica, visti come baluardo della vera virtus. I titoli si ispirano spesso a proverbi, modi di dire, motti che catturano l’attenzione del lettore: il filo conduttore è costituito dalla satira dei vizi contemporanei, e quindi dall’esaltazione dei tempi antichi. Motivo frequente è la polemica contro i filosofi, contro il loro dogmatismo e il loro pensiero cavilloso, a cui Varrone oppone la semplicità di pochi ma chiari precetti etici:
Postremo nemo aegrotus quicquam somniat
tam infandum, quod non aliquis dicat philosophus
[ Insomma, nessun malato fa sogni così deliranti, che non li ripeta un filosofo].
Stravaganti, varie nei soggetti e nelle situazioni narrative, le Saturae di Varrone non mancano di quel tocco polemico tipico del genere, e che contribuisce a rendere l’opera una pietra miliare nella storia del genere satirico antico.