Sylvia nasce il 27 ottobre 1932 a Boston da una famiglia di origini tedesche. Il padre è un esimio professore universitario e la madre è una professionista che nel matrimonio si vede privata della sua carriera e della sua vita per dedicarsi ai figli ed all’offuscante marito.
Otto Plath cresce i suoi figli Sylvia e Warren in una casa fredda in cui l’unico focolare è rappresentato dalla madre, la quale stimola i piccoli a crescere nella creatività e nella fantasia. Da questo scontro tra personalità così divergenti, nasce l’amore di Sylvia per la scrittura, unico luogo in cui dare libero sfogo all’emotività repressa di un padre sempre assente, o, peggio, disinteressato. Nel 1940 Otto muore a causa del diabete; la decisione della moglie Aurelia di non far partecipare i figli al funerale, avvolge la sua morte in un alone di mistero e di indifferenza che segnerà Sylvia per tutta la vita.
I riconoscimenti letterari della Plath arrivano già all’età di otto anni dalla Junior School di Winthrop, e a quattordici si fa insegnare dalla madre a scrivere a macchina: da quel momento ogni suo manoscritto sarà dattiloscritto. Sylvia è una giovane donna di enorme talento, tuttavia ansiosa di confrontarsi con gli altri, e spaventata dal fatto che la sua intelligenza possa renderla impopolare presso il pubblico maschile. Dai suoi due imperativi costanti, l’obbedienza alle pressioni sociali di brava moglie e madre e la fedeltà al proprio dono artistico, nasceranno ansia, incertezza e timori per il futuro.
Nel 1950 arriva l’anno del diploma, e alla Plath vengono consegnate tre borse di studio presso la prestigiosa università di Northampton in Massachusetts, nonché la pubblicazione del primo racconto And summer will not come again sulla rivista Seventeen. Nel gennaio del 1951, Sylvia intreccerà una relazione con Dick Norton, brillante studente di medicina con il quale percorrerà tutti gli anni del college, ma sarà proprio alla fine di quell’anno che Sylvia sprofonderà in una crisi depressiva profonda che manifesterà per la prima volta il suo male interiore, assopito sino a quel momento.
Nel giugno del 1953 la studentessa modello scopre di non essere stata ammessa al concorso di scrittura Frank O’ Connor, ed è costretta a passare le sue vacanze a casa dalla madre dove, in seguito ad allarmanti allusioni al suicidio il medico di famiglia consiglia di consultare uno psichiatra, il quale consiglia a sua volta un ciclo di elettroshock. Questa è l’esperienza revocata in tutto il suo orrore ne La Campana di vetro: i lampi azzurri, il fascio di luce ritorneranno nella poesia della Plath come simboli di annientamento e morte.
Riesce a riprendersi e, dopo essersi laureata con una tesi su Dostoevskij, scopre di aver vinto una borsa di studio della durata di due anni all’università di Cambridge; 14 settembre del 1955 supera la Manica. Nel febbraio dell’anno successivo decide di andare ad un party della rivista St Botolph’s Review sulla quale aveva letto le poesie di Ted Hughes e Lucas Mayers. L’incontro con Hughes ha i toni di un evento numinoso e fatale e Sylvia ne lascia una descrizione dettagliata nei suoi diari. L’arrivo di Hughes nella vita della scrittrice spazza via le inquietudini degli anni precedenti: dopo due giorni a Londra con Ted ne scrive alla madre in toni esaltati, come se fosse l’uomo della sua vita.
Da quel momento, Sylvia e Ted resteranno insieme, divideranno le loro vite tra l’America ed i grandi sogni da letterati d’altri tempi. Sylvia si dedicherà per un periodo all’insegnamento, provando a rilanciare la propria carriera con il suo racconto Jonny Panic e la Bibbia dei sogni, ma vedrà svanirne la pubblicazione e con essa le possibilità di una rivincita. Intanto la carriera di Ted va a gonfie vele, e solo nel novembre 1960 decideranno di tornare in Inghilterra dove Sylvia trova un editore interessato a pubblicarle The colossus and other poems, in stampa nel 1960; di lì a poco nasce la figlia Frieda Rebecca. Nel 1961 scopre di essere nuovamente incinta, decide così di trasferirsi con Ted in campagna mentre si dedica alla scrittura di The Bell Jar.
Il 17 gennaio del 1962 dà vita al suo secondogenito, ma l’idillio dura ben poco, perché Sylvia scopre che Ted ha un amante. Di conseguenza, raduna tutti gli scritti del marito in giardino per dargli fuoco, e con loro dice addio anche al suo matrimonio. Decidono quindi di separarsi, dando il via ad un input creativo che porterà la Plath a comporre i tre quarti della raccolta Ariel. Segue un anno di lotte intestine e delusioni cogenti, derivate anche dalle critiche negative ricevute dopo l’esordio de La campana di vetro, terminate con un suicidio nel forno di casa e dei bambini in un letto.
La sua vita si spegne, ma nel cuore dei suoi lettori riecheggia la frase posta sulla sua lapide: “Anche tra fiamme violente si può piantare il Loto d’oro”.