È stata una settimana agitata quella appena trascorsa, scossa dagli eventi verificatisi al confine tra Israele e Palestina, la cosiddetta Striscia di Gaza. La religione è solo uno dei tanti motivi che procurano sofferenze continue a chi cresce in quelle terre; proprio quella religione che dovrebbe essere una cura per l’anima si converte infatti nell’afflizione del corpo.
Finalmente dopo una lunga serie di bombardamenti, durata otto giorni, la giornata di giovedì ha portato a una tregua temporanea mediata da Egitto e Stati Uniti tra Israele e Hamas.
È in questa pausa che Salmon Rushdie lascia silenziosamente scivolare il suo nuovo romanzo, la storia di un uomo che, proprio come palestinesi e israeliani, ha vissuto il peso di una religione troppo opprimente e sentenziosa. Rushdie è uno scrittore indiano con cittadinanza inglese, nasce a Bombay da una famiglia di fede islamica nel 1947 e si forma all’università di Cambridge.
Il suo nuovo libro, intitolato “Joseph Anton”, racconta l’esperienza che più ha segnato l’autore, costringendolo a vivere sotto scorta e a cambiare nome, per l’appunto Joseph Anton, creato dall’unione dei nomi dei sui scrittori preferiti, Conrad e Checov.
È il 14 febbraio del 1989 quando il protagonista riceve una telefonata da una giornalista della BBC, questa lo informa di essere stato condannato a morte per aver scritto un libro considerato dalla sua stessa fede una blasfemia e una bestemmia contro l’Islam, il Profeta e il Corano. “I Versi Satanici”(The Satanic Verses) è il romanzo causa di tutti i problemi, nel libro infatti sono rivisitati in chiave fantastica alcuni aspetti della cultura islamica alludendo alla figura di Maometto. Il titolo del libro si riferisce a pochi versi del Corano, uno dei quali è addirittura presente solo nelle versioni più antiche del testo sacro. Questi versetti, che la tradizione vuole ispirati da Satana, considerano degne di venerazione le tre divinità pagane e preislamiche figlie di Allah. È questo l’argomento sul quale due sopravvissuti a un incidente aereo discutono dando forma al romanzo.
Salmon Rushdie si procurò una fatwa dall’ayatollah Khomeyni, una condanna a morte che prevede l’esecuzione della stessa per mano di qualunque fedele islamico. Lo scrittore indiano fu costretto a fuggire subito e a vivere sotto protezione nel Regno Unito, ma per capire la vera reazione del mondo islamico basti pensare che il 3 luglio del 1991 il traduttore italiano del libro fu ferito gravemente nella sua abitazione, mentre il traduttore giapponese perse la vita nel luglio 1993 colpito da arma da fuoco.
Salmon Rushdie oggi non è più perseguitato, e lunedì scorso è stato ospite nella trasmissione di Fabio Fazio, Che tempo che fa, affiancato da Roberto Saviano. Fazio ha realizzato un’intervista così simile a una chiacchierata tra vecchi amici, da far dimenticare al pubblico il macigno che i due scrittori portano sulle spalle. Lo scrittore indiano racconta la sua esperienza sin dal momento della telefonata che ha sconvolto la sua esistenza. “Ti dicono che devi nasconderti, e non è una cosa dignitosa nascondersi” afferma Rushdie e aggiunge “… gli scrittori tendono ad essere personaggi molto sanguinari e molto spesso tu ti scopri più forte … Io ho scoperto di avere dentro di me la forza, non è divertente ma alla fine sei uno scrittore e per sopravvivere devi scrivere”.
Alla domanda sull’idea di scappare Saviano risponde “Si, anche questa mattina ci ho pensato. Ho pensato che ci sarà qualche paese che mi accoglie … Ma c’è un momento in cui pensi, non devo andare via io ma devono andare via loro, semmai.”
È bene ricordare che Roberto Saviano vive da sei anni sotto scorta e non è certamente l’unico scrittore a vivere sotto protezione. La letteratura infatti continua ad avere un peso enorme, pensiamo per esempio all’attentato dello scorso ottobre ai danni di Malala Yusafzai, una bambina di soli 14 anni colpita dai talebani perché scriveva contro di loro; oppure alla blogger cubana Yoani Sànchez, arrestata e interrogata dalla polizia per 30 ore, trattenuta perché seguiva il processo al politico spagnolo Angel Carromero, accusato della morte incidentale dell’oppositore cubano Paya. Possiamo aggiungere altra carne al fuoco con l’attentato del 4 aprile di quest’anno ai danni di Lello Filippone, giornalista di Calabria Ora e impegnato in inchieste sulla ‘ndrangheta, o quello che ha decretato la morte di Maya Maser, uccisa da un cecchino in Siria.
Questi attacchi diretti non fanno che riconfermare le parole di Saviano che afferma: “Sono convinto che a essere pericolose non sono le mie parole, sono i miei lettori che rendono pericoloso ciò che io scrivo.”
Così mentre c’è chi si schiera dalla parte dello scrittore coraggioso e chi lo critica per una scelta che ha fatto da solo, consiglio di vedere l’intervista di Fazio a questi due audaci scrittori per ascoltare direttamente parole che fanno riflettere.