David Ben Gurion all’indomani della nascita dello Stato di Israele di cui fu fondatore e primo Ministro dal 1948 al 1954, pronunciò queste parole:“I fondatori dello Stato di Israele non sono stati gli uomini politici, ma gli immigrati che hanno ricostruito il Paese con il sudore della fronte”. Le poche migliaia di famiglie ebree superstiti alla Shoà videro così finalmente riconosciuta la loro “terra promessa”.
Fra le centinaia di immigrati che tra i cocci delle loro esistenze martoriate cercarono una ragione per andare avanti, vi era la famiglia Klausner. Il capofamiglia Yehudah Arie era uno studioso di storia e letteratura ebraica che trovò lavoro come bibliotecario a Gerusalemme; sua moglie Fania Musman proveniva da una famiglia ebrea di intellettuali polacchi. Il loro unico figlio, Amos, nacque nello stato di Israele. Diventerà uno degli scrittori, saggisti e giornalisti più apprezzati nel proprio paese con lo pseudonimo di Amos Oz ed intellettuale celebrato a livello internazionale. Nonostante la famiglia Klausner non fosse religiosa, il giovane Amos compì i suoi studi in scuole sioniste e poi presso il Kibbuz di Halda dove decise di cambiare il suo cognome appunto in OZ, che vuol dire forza. Lì visse sino al 1986. Un evento drammatico segnò la sua vita: il suicidio della madre. Era dodicenne allora e per anni elaborò il dolore fino a rappresentarlo magistralmente nel romanzo“Una storia di amore e di tenebra” (Feltrinelli, 2004) in cui alla vicenda autobiografica accompagna la storia e la tragedia di un intero popolo che ancora oggi tra lutti e rancori non trova pace. Una scrittura elegante ed asciutta che rende accettabile al lettore la drammaticità dell’argomento grazie ad una sottile ironia caratteristica di gran parte dei suoi romanzi.
Prima di dedicarsi completamente agli studi di letteratura e filosofia, e dopo aver sperimentato la vita del Kibbuz, lo scrittore ha prestato servizio militare nelle Forze di Difesa Israeliane combattendo la Guerra dei 6 giorni contro la Siria, e quella del Kippur. Sono queste esperienze ad averlo convinto della necessità di una risoluzione non belligerante, ma pur sempre dolorosa del conflitto israelo-palestinese e con il resto dei popoli arabi gravitanti attorno lo stato di Israele.
Israeliani e palestinesi non sono una famiglia, sono due famiglie infelici. La piccola casa in cui vivono deve essere divisa in due appartamenti ancora più angusti in cui devono stabilirsi entrambi. Qualcosa come il divorzio di velluto tra cechi e slovacchi è così dolorosamente semplice e diventerà realtà, perché non c’è altro modo!”.
E’ nota a livello internazionale la posizione favorevole di Amos Oz alla proposta di una soluzione bi-nazionale al conflitto; tema al vaglio della politica occidentale sin dal 2007, anno della Conferenza di Annapolis. Egli crede, oggi come allora, che si debbano istituire due Stati distinti di Israele e Palestina vista l’impossibile convivenza.
Per anni, infatti, sin dai primi scritti giornalistici e nei saggi del periodo della sua frequentazione dell’Università di Gerusalemme,Oz ha attaccato le scelte della sinistra antisionista di belligerare con i popoli arabi per le contese territoriali (“Terra dei nostri padri”, articolo del 1967) ed è stato tra i pochi intellettuali a sostenere gli Accordi di Oslo e la politica di trattative con l’OLP.
La sua produzione letteraria è vasta. Oz ha scelto di raccontare sottoforma di romanzo o novelle le storie che sono “nate attorno alla sua penna”, nel contesto in cui vive ed ha vissuto. Sulla scorta dello scrittore americano Sherwood Anderson, cui spesso si è ispirato, la sua produzione si snoda su trame ambientate nei Kibbuz (“Una pace perfetta” 2009, “Tra amici” 2012, “La scatola nera” 2005), sulla memoria collettiva del popolo ebraico (“Una pantera in cantina” 2010, “Il monte del cattivo consiglio” 2011, “La vita fa rima con la morte” 2008) e su racconti dove la fantasia rivela l’intento di una morale legata agli usi e costumi ebraici (“D’un tratto nel folto bosco” 2005). La sua curiosità sulle origini e la storia del suo popolo è ardita ma compassionevole nei confronti della sua stessa cultura per l’energia con cui il suo popolo è in grado di costruire e al contempo distruggere.
Ancora oggi, settantatreenne, non rinuncia alla scrittura e, dall’Università Ben Gurion del Negev dove insegna letteratura e giornalismo, sostiene un’azione concreta e decisiva per la risoluzione di un conflitto che è come “un vulcano in perenne eruzione che sbuffa disperazione, declino, morte”. In questo senso si muove anche la sua adesione come membro e cofondatore del movimento pacifista Peace Now, insieme a David Grossman e ad Abraham Yehoshua.