Mentre il mondo attende dal Medio Oriente la notizia di una tregua che sarà, come già sappiamo, solo una sospensione transitoria di un’incalcolabile sequela di morti, sento la necessità di soffermarmi su una situazione talmente complessa da non riuscire ad essere abbracciata in un arco di tempo ristretto. Al di là dei giudizi e delle opinioni, oltre le propagande e gli estremismi, come me molti augurano a quelle terre, a quegli uomini di trovare la pace. Per questo motivo mi sono voltata a guardare a quanto è stato tentato fino ad oggi per risolvere il conflitto tra Palestina e Israele, che dura da più di un secolo.
La comunità internazionale si è interessata più volte al ristabilimento della pace attraverso una serie di accordi ed iniziative che ad oggi, come dimostrano gli avvenimenti di questi giorni, non sono serviti a metter fine all’occupazione israeliana dei territori arabi né agli attentati compiuti da organizzazioni terroristiche musulmane.
La Conferenza di Madrid: la Spagna, insieme agli Stati Uniti e all’URSS, accolse nel 1991 il primo tentativo internazionale di iniziare un processo di pace in Medio Oriente. Siria, Giordania e Libano, insieme ai rappresentanti palestinesi e ad Israele sedettero allo stesso tavolo. Si propose una soluzione in due tappe per regolare il conflitto: la prima tappa prevedeva una temporanea governance palestinese, la seconda di stendere gli statuti definitivi dei due stati. La prima tappa diede origine agli accordi di Oslo.
Gli accordi di Oslo, detti anche di Gerico-Gaza, del 13 settembre 1993, furono sottoscritti a Washington in presenza di Yasser Arafat, presidente del comitato esecutivo dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione dela Palestina), da Yitzhaq Rabin, primo ministro israeliano e da Bill Clinton, presidente degli Stati Uniti, per porre le prime basi di una risoluzione del conflitto. Vi fu inoltre il riconoscimento dell’Autorità Palestinese.
Gli accordi di Wye Plantation (o Oslo II) furono firmati il 23 ottobre 1998 da Yasser Arafat, presidente dell’Autorità Palestinese e da Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano, in presenza di Bill Clinton: prevedono nuove evacuazioni israeliane sul 13 % della Cisgiordania.
Il Summit di Camp David si tenne nella residenza di Camp David nel luglio del 2000 in presenza di Bill Clinton, Yasser Arafat e Ehud Barak. I negoziati fallirono a causa di tre grandi ostacoli:
1. Le frontiere: durante gli accordi di Oslo, i negoziatori palestinesi avevano accettato la linea verde come frontiera della Cisgiordania. Barak e Clinton proponevano invece un’annessione in favore di Israele del 9-10% della Cisgiordania in cambio del 3% del deserto del Negev; Israele avrebbe inoltre temporaneamente mantenuto una fascia del 15% della lunghezza del Giordano ed una zona intermedia sotto il controllo dello Zahal (le forze armate israeliane).
2. Lo statuto finale di Gerusalemme: fu proposto ai palestinesi solo un controllo (e non la sovranità) su una gran parte di Gerusalemme Est, ed in particolare nella zona dei luoghi santi.
3. I rifugiati palestinesi: i negoziatori israeliani rifiutarono radicalmente il loro diritto al rientro.
Summit di Taba: Clinton convocò nel gennaio 2001 Arafat e Barak in base a nuovi parametri di negoziazione per risolvere urgentemente i differenti punti del conflitto, dopo il fallimento di Camp David e lo scatenarsi della seconda Intifada. Gli israeliani ridussero al 6% le annessioni in Cisgiordania.
Le due parti accettarono il suggerimento di Clinton di fare di Gerusalemme una città « aperta », con sovranità palestinese sui quartieri arabi e luoghi santi musulmani, e sovranità israeliana sui quartieri ebrei. Sorse però il problema per la zona dei luoghi sacri comuni, e cioè quella zona che per i musulmani è la Spianata della moschee (che racchiude la Cupola della Roccia) e per gli ebrei il Monte del tempio (dove si trova il Muro del Pianto).
Per quel che riguardava il problema dei rifugiati, si tentò di pianificarne il rientro su cinque anni.
L’elezione di George Bush negli Stati Uniti e di Ariel Sharon in Israele impedì lo svolgimento di tale piano, nonostante un gruppo di negoziatori non ufficiali proseguisse negoziati extra-governativi che diedero origine all’Iniziativa (o Accordo) di Ginevra.
L’Iniziativa (o Accordo) di Ginevra (o Bozza di Accordo Permanente sullo Status) è un piano di pace alternativo che proseguì i negoziati di Taba in via non ufficiale per risolvere il conflitto. Gli accordi, molto dettagliati, prevedevano:
– La condivisione di sovranità su Gerusalemme, capitale di entrambi gli stati, mentre i quartieri arabi e la Spianata delle moschee sarebbero rimasti sotto la sovranità palestinese.
– L’evacuazione di Israele dal 98 % della Cisgiordania e dalla totalità della striscia di Gaza, e la regolamentazione della questione della circolazione tra Cisgiordania e Gaza.
– Indennizzo dei rifugiati palestinesi, ma forte limitazione del diritto di ritorno nei territori controllati da Israele, cosa che sarebbe in pratica equivalsa alla rinuncia degli esiliati a rientrare nei territori occupati. Il concetto principale dell’accordo fu la creazione di uno stato palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, in cambio del riconoscimento dello stato di Israele come patria di diritto del popolo ebraico.
Essendo la proposta più sensata, fu respinta da entrambi i contendenti, nonostante gli ingenti fondi stanziati da paesi come Svizzera e Giappone per spingere le parti all’accettazione.
La Road Map è un progetto del 2003 che vide per la prima volta l’Unione Europea accanto a Stati Uniti, Russia e Nazioni Unite, basato su tappe differenti:
– 2003: fine al terrorismo e alla violenza, normalizzazione della vita dei palestinesi e creazione di un governo attraverso elezioni; ritiro israeliano e congelamento delle colonie.
– 2004: creazione di uno Stato palestinese indipendente, ma con frontiere provvisorie, con una propria sovranità e fondato su una nuova Costituzione; sostegno da parte internazionale alla ripresa economica della Palestina. Ripristino da parte dei Paesi Arabi delle relazioni commerciali con Israele.
– 2004-05 : accordo sullo statuto permanente e fine del conflitto; accordo su Gerusalemme, i rifugiati e le colonie. Accettazione da parte degli Stati Arabi della pace con Israele.
Il Piano di disimpegno unilaterale israeliano ha avuto inizio con l’approvazione nel 2004, da parte del governo di Ariel Sharon, di un piano di evacuazione dei cittadini israeliani dalla Striscia di Gaza e da quattro insediamenti in Cisgiordania, in cambio di un indennizzo per coloro che accettavano volontariamente lo sgombero. L’operazione ha avuto luogo tra agosto e settembre 2005.
Nel territorio liberato sono rimaste in vigore tasse doganali e moneta israeliana, ma, poiché l’ANP non riteneva di avere sufficiente controllo sulla zona, gli osservatori internazionali hanno stabilito che, nonostante gli sgomberi, la responsabilità giuridica di Israele quale potenza occupante la striscia di Gaza permane.
In realtà questo sgombero è stato programmato in vista della continuazione di un muro strettamente sorvegliato, chiamato “Barriera di separazione israeliana” o “di sicurezza” dagli israeliani e “Muro della vergogna” o “Muro di separazione razziale” dai palestinesi e dagli oppositori in generale. Questa barriera, composta da porte elettroniche, muri veri e propri e trincee di filo spinato, è lunga circa 700 km; solo in minima parte segue la Linea verde e si insinua invece per molti chilometri all’interno della Cisgiordania fino ad integrare le colonie israeliane in territorio palestinese.
NdA: Israele sostiene la necessità della barriera per evitare le incursioni di kamikaze palestinesi, che in effetti sono di molto diminuite. Tuttavia ogni giorno, a rischio della vita, migliaia di palestinesi usano i varchi per lavorare sottopagati e sfruttati in territorio israeliano.