La loro era una storia rosa dal freddo dell’inverno, mangiucchiata dalle tarme dell’ingenuità. Troppo giovani, dicevano tutti. Giovani e frettolosi: s’erano sposati dopo un anno di conoscenza, avevano giurato amore eterno dentro vestiti freschi di sartoria, in una chiesa nel centro di Roma.
Sua madre glielo aveva detto: aspetta, aspetta a sposarla, non sai nemmeno che le piace fare il sabato sera. Ma lui niente, testardo aveva chiesto a Roberta la mano quella sera stessa. Lo aveva fatto al ristorante messicano. Aveva guardato i suoi occhi quasi colmi di lacrime, il viso accaldato, mentre con la mano davanti alla bocca tossiva. Tirò fuori dalla tasca la scatolina con l’anello e gliela porse titubante. Quando la vide impallidire non fu più tanto sicuro di aver fatto la scelta giusta.
In mezzo al caos della domenica lei gli disse di sì. Lo fece tra una salsa piccante e della carne all’osso, sprofondata nella sedia su cui sedeva. Gli occhi di lei gli si aggrapparono addosso, quasi gli domandava se fosse tutto uno scherzo.
“Puoi anche dirmi di no.”, lo disse in un sussurro.
Lei si alzò dal tavolo e lo raggiunse, riempiendolo di baci. Un collo imperlato di sudore, umido. E gli disse sì all’orecchio cento, mille volte.
Sì. Sì. Sì. Sì. Sì.
Dopo nemmeno un anno di matrimonio sono seduti ad un tavolo dello stesso ristorante. Distanti, ciascuno con gli occhi affondati sul proprio piatto. Lui ha la mente alla partita sul megaschermo, a quell’1-1 maledetto. Di tanto in tanto alza la testa, inorridisce davanti al risultato. Francia di merda.
Roberta mangiucchia in silenzio le cosce di pollo. Ha freddo, s’è seduta dando le spalle alla porta lasciata aperta. Avrebbe dovuto portarsi dietro il cardigan, pensa stringendosi nelle spalle. Tanto lui non l’ha nemmeno notato quell’abito mezzo scollato, quella collana col diadema che porta al collo.
E questo ristorante messicano le fa schifo, ancora non glielo ha detto. Il servizio è lento, c’è troppo chiasso… E la porta è aperta in pieno dicembre.
“Tutto bene?”, le domanda lui, assente. Un lieve cenno con gli occhi, e poi subito a guardare la partita, sbranandosi la carne.
Lei annuisce, anche se tanto a lui non interessa la risposta. L’importante è che l’Italia segni un gol.
Ripensa al loro matrimonio, a tutto ciò che non funziona. I calzini sparsi a terra la domenica mattina, la tavoletta del water sempre alzata, il disordine, le tazzine del caffè ovunque tranne che nel lavandino…
Forse è stato uno sbaglio cedere a quel loro amore troppo acerbo, a seguire come ipnotizzata la promessa di un matrimonio felice. Ora il rimpianto bussa alla sua mente. Lo fa con intermittenza, proprio come prima faceva il cuore.
Roberta sa che non le serve la mano di Vittorio poggiata sul suo palmo, qualche attenzione in più, un complimento al suo vestito. Per carità, se lui lo facesse sarebbero dei passi in avanti, piccole vittorie sul campo di guerra del loro matrimonio. Ma lui se ne sta fermo, a malapena la guarda. Nemmeno le mette l’acqua nel bicchiere.
Prima lo faceva, lo faceva sempre. La chiamava “stupidina” e lei non si incazzava, anzi: si sentiva corteggiata e gli sorrideva, con i suoi incisivi storti che lui diceva di amare.
Fine primo tempo.
“Che dici, paghiamo subito e andiamo? Qui non si sente niente, il televisore si vede da schifo… hai mangiato bene?”, sono le parole di Vittorio dopo quasi tutta la cena in silenzio. Si alza, prende il cappotto, se lo infila mentre lei tribola col suo, che le s’impiglia ovunque.
“Pago io”, abbozza lei alla cassa, sul volto un velo d’ombra, forse di nervoso.
Lui nemmeno annuisce, controlla i messaggi sul cellulare, risponde a qualche suo collega.
Escono dalla porta, piombano nel freddo.
Forse si sono amati. Ingenuamente, per errore, con incoscienza. E tempo nemmeno un anno sono passati all’indifferenza.
Senza rabbia, odio, vendetta, rancore.
Non ce n’è stato il tempo.