Viviamo nel tempo; il tempo ci forgia e ci contiene; eppure non ho mai avuto la sensazione di capirlo fino in fondo … A insegnarci la malleabilità del tempo basta un piccolissimo dolore, il minimo piacere. Certe emozioni lo accelerano, altre lo rallentano; ogni tanto sembra sparire fino a che in effetti sparisce sul serio e non si presenta mai più.
Se si volesse analizzare dal punto di vista contenutistico “Il senso di una fine” di Julian Barnes probabilmente verrebbe fuori che è un romanzo breve, un protagonista noioso, una storia scarna. La bravura di Barnes sta proprio in questo: tiene attaccato il lettore alle pagine del suo mini thriller lasciando che da solo si interroghi sugli elementi della storia e ne faccia un raffronto con la vita reale. Con una prosa raffinata e preziosa lo scrittore, lasciando che la narrazione in prima persona del protagonista, Tony Webster, prosegua tra foglietti e riflessioni di pagine di diario, cerca di far luce su un passato irrisolto. Il nocciolo della questione gira intorno a un uomo maturo, la cui esistenza è segnata dalle rughe del tempo e delle esperienze, con una equilibrata dose di dolori/piaceri, un matrimonio alle spalle con una donna che tutto sommato è meglio averla come amica che come moglie, una figlia presa dal suo mondo avulso da quello del padre e ricordi poco affidabili di un passato il cui testimone è solo uno, perché il lettore possa averne una panoramica completa. C’erano Veronica e Adrian negli anni Sessanta del protagonista, c’era il sesso, la droga, la voglia di cambiare il mondo; c’era un gruppo di amici che si divideva donne e sogni e infine c’era il turbamento di aver saputo del suicidio di uno di loro, Adrian, amico di Tony smesso di esserlo quando gli “ruba” la ragazza, Veronica, a quanto pare l’unico vero amore della sua vita.
Un passato che sembra essere confinato lì, nella prima parte della vita del protagonista e del libro ma che diventa motore d’azione nel corpo centrale della storia: una lettera di un avvocato; la madre di Veronica è morta e ha lasciato a lui una parte della sua eredità e il diario di Adrian. Comincia tutta una serie di interrogativi che riportano a galla situazioni sospese, dubbi e rimpianti dello stesso Tony che, barricandosi dietro la sua solitudine e nella lontananza dalla coppia dei suoi amici, è rimasto ancorato a quel biglietto di Adrian, che prima di morire aveva lasciato due righe sibilline sul tempo.Ed ecco che Tony, scappato dagli altri e da se stesso, aiutato dallo scorrere del tempo si ritrova di fronte al suo passato con un mistero da svelare e il diario dei pensieri del suo amico traditore.
All’improvviso mi sembra che una delle differenze tra la gioventù e la vecchiaia potrebbe essere questa: da giovani, ci inventiamo un futuro diverso per noi stessi; da vecchi, un passato diverso per gli altri.
Il finale è sorprendente, tanto da lasciare spiazzato il lettore; quello che però sta più a cuore a Barnes in tutto il suo sapiente lavoro, dove nulla è lasciato al caso, è la consapevolezza che il tempo toglie ma è lo stesso che può anche restituire; nello scoprire la verità basta allontanarsi dalla propria visione, soggettiva e vedova di imparzialità delle cose; solo così si può recuperare la libertà, anche se talvolta il prezzo da pagare è la messa in crisi di noi stessi.