È l’epoca delle zanzare, e non perché sia la loro stagione. Ormai non c’è differenza: basta il calore di poca primavera e un sottovaso calmo di acqua stagnante. Pochi giorni e volano. Coltelli, siringhe, temperini, spilli. La sensazione sulla pelle è nel dopo. Chiazze rosse, dolore, fastidio. Il ricordo di ore insonni a cercare di ucciderle. Ma tra chi beve sangue per natura e chi si improvvisa assassino non c’è lotta. Quando siamo più deboli, noi umani, nella orizzontale di un letto, percepiamo solo quel ronzio vicino, sempre più forte. A volte capita, nella cecità del buio, di lasciar partire su se stessi uno schiaffo a mano aperta, e di scoprire, nel sangue rappreso della mattina dopo, resti neri, esanimi, tra l’orecchio e la mascella, sulla guancia, in fronte. Le zanzare hanno capito tutto, e si sono adattate. Inutile costruire, dibattersi, sperare. Inutile accontentarsi o fare caciara. Meglio restare discreti, dritti al punto, con voli agili e taglienti come mollette di mafia. Mica come le mosche, che ciarlano sfuggenti, in un volo disordinato e ubriacante, narcisiste ma in fondo proletarie, felici di essere al mondo, perché domani, se una paletta non le schiaccerà, o se non incontreranno una lucertola, quelle due ali trasparenti e gli occhi d’ocra rossa potranno dare il tu al cielo, o esplorare una tovaglia, toccare una ragazza al sole o rovistare in una cuccia. Le zanzare del futuro se ne fregano. Non hanno paura della morte, perché con la morte sono già in accordo. Non potrebbero mai sporcarsi le zampe in una fatta di mucca. Le zanzare vogliono ricchezza scarlatta. Se ne drogano, fino a scoppiare, fino a crollare intontite tra un lume e una tappezzeria. A quel punto non siamo noi a ucciderle, ma loro a suicidarsi. Perché la vita aveva poco senso e meno ancora ne ha adesso. Qui, ora, il tuo sangue. Una zanzara non prova considerazione, pietà o vendetta. Piuttosto vive di calcolo. E se una mosca tocca, si poggia, rischia, la zanzara provoca, e sfiora, fuggendo vigliacca, a Lampedusa come a Roma. E che importa se in un barcone il sangue è dei migranti: basta succhiare sangue finché si può, magari fino a Tripoli, oppure ai bordi di Roma, perché anche i Rom hanno sangue, e niente di meglio che soffiargli via la vita. Utili gli zingari, ma solo quell’attimo che serve per dare nuova vita a una zanzara, e poi via, verso altri, magari dai senza casa di Milano Centrale, prima che una ronda o un poliziotto chieda i documenti. La zanzara se ne disinteressa. Vive in superficie, pattinando su fiotti di sangue fresco. Un attimo, e ha già cambiato preda e orizzonte. Morirà, ma quel giorno sarà troppo tardi. Allora forse capiremo che il ronzio delle mosche era solo un appello fastidioso a farci reagire.