L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo.
Sembra una descrizione dell’Italia di oggi, invece risale al 1962. Prima del ’68, prima dei figli dei fiori, prima degli hippies. Prima della guerra in Vietnam e di Tangentopoli, prima della legge sull’aborto e della fine della Prima Repubblica. Prima di tutti quegli eventi che hanno scolpito il volto all’Italia contemporanea, una isolata voce di denuncia, premonitrice, visionaria, lucidamente lungimirante, già si levava dal coro di vocine e vocioni più o meno borghesi, tutte pasciute alla generosa tavola del boom economico degli anni ’50.
Chissà cosa scriverebbe oggi Pier Paolo Pasolini sulla situazione politica e economica attuale. Se, invece di morire, pestato a sangue (non si sa ancora bene – e forse mai si saprà – da chi o per conto di chi) nella notte tra l’1 e il 2 Novembre all’Idroscalo di Ostia, fosse oggi ancora vivo, il genio profetico che 50 anni dopo diventa testimone impotente della sua premonizione.
Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna il 5 marzo del 1922. La famiglia si sposta di frequente da una città all’altra per il lavoro del padre, tenente di fanteria, per cui l’unico punto di riferimento certo per il giovane Pasolini sarà Casarsa, una località del Friuli in cui la famiglia tornerà anno dopo anno per trascorrere le vacanze estive, allo stesso tempo prima fonte di ispirazione, con la sua natura incontaminata, la bellezza dei paesaggi e la semplicità della vita montana, per i primi versi del Pasolini poeta. Poeta, ma non solo. Intellettuale, critico letterario, saggista, regista, sportivo. Non c’era niente o quasi che Pier Paolo non sapesse fare. A soli 17 anni si iscrisse all’università, saltando un anno di liceo, indirizzo lettere e filosofia.
A segnare la sua giovinezza fu la morte del fratello Guido (1945), massacrato durante la seconda guerra mondiale. L’evento distrugge completamente la psicologia peraltro già fragile della madre di Pasolini, il quale di conseguenza si avvicina ancor più all’unica figura femminile rilevante nella sua vita, tagliando definitivamente i contatti già controversi col padre. Un rapporto simbiotico, quasi fusionale, quello di Pasolini con la madre, che ebbe probabilmente un ruolo nella sua dichiarata scelta omosessuale. Una perversione inaccettabile per l’epoca, che finirà per screditarne anche la reputazione letteraria, e gli costerà, oltre all’allontanamento dalla professione di insegnante, una serie di processi, negli anni, per corruzione di minorenni, accanto al ben più dannoso processo “mediatico” che lo esporrà alla gogna.
Intanto, la sua adesione non incondizionata alle posizioni del Pci, di cui pure era membro, gli valse l’esilio dal partito, anche in seguito ai fatti giudiziari di Ramuscello. Nel 1950 Pasolini abbandona il Friuli che tanto gli aveva dato, per rifugiarsi nella borgata romana. Solo lì, tra la desolazione e la difficoltà della vita quotidiana, tra gente che non ha nulla da perdere né da chiedere, Pier Paolo ritrova se stesso. Arrangiandosi per tirare avanti, senza chiedere aiuto a nessuno dei suoi amici intellettuali, iniziò a lavorare a Cinecittà. Avvenne così il suo incontro con il cinema che sarà una rivelazione. La pellicola, associando le parole alle immagini gli permetterà di esprimere molto più fedelmente, attraverso la bellezza desolata e brulla di volti e paesaggi, quel contrasto interiore che lo tormentava sin da ragazzo.
Una vita che anche nella sua fine rimane oscura e controversa. Le circostanze della sua morte non saranno mai chiarite, anche se la legge condannerà Pelosi come unico esecutore dell’omicidio, che verrà bollato come delitto passionale. Il corpo di Pasolini tornerà a riposare a Casarsa, nei luoghi dell’infanzia, unici in cui forse la sua anima tormentata trovò un po’ di pace.