Una donna deve avere soldi, cibo adeguato e una stanza tutta per sé se vuole scrivere romanzi.
Così scriveva Virginia Woolf in “Una stanza tutta per sé”. Era il 1929, ma le cose non sono cambiate poi molto da allora. Il mestiere dello scrittore resta uno dei più affascinanti e controversi. Richiede soldi (non troppi), tempo (tantissimo), volontà e pazienza. Soprattutto pazienza. E, si sa, la pazienza delle donne è proverbiale. Virginia Woolf ne aveva da vendere; quello che le mancava, era la libertà. Di movimento, di espressione. Se avesse potuto, avrebbe barattato volentieri tutta la sua pazienza, nutrita dagli oli essenziali della cultura (acquisita sotto lo sguardo vigile dei precettori, quello carezzevole della madre e, negli ultimi anni, quello severo e intransigente del padre) con un pizzico di quella libertà tanto agognata, che l’Inghilterra anglicana, moralizzatrice e pudica, non concedeva alle donne.
Virginia Woolf nasce nel 1882 a Londra, e cresce nel fortino vittoriano di South Kensington. I genitori, entrambi alle loro seconde nozze, hanno già altri sei figli (di cui quattro nati dai rispettivi matrimoni precedenti) quando nasce Adeline Virginia, penultima di otto fratelli. A lei seguirà Vanessa, che insieme alla sorellastra Stella, sarà la sua unica compagnia femminile, appoggio e specchio e conforto in un mondo dominato dagli uomini.
Il clima familiare è stimolante: il padre di Virginia, sir Leslie Stephen, è uomo di cultura. In casa transitano quotidianamente scrittori, editori e artisti. Un ambiente ricco di spunti; ma alle donne non è concesso troppo spazio. L’istruzione accademica, nei grandi college di Oxford e Cambridge, è riservata solo ai maschi; le ragazze sono costrette a studiare in casa. L’espressione intellettuale e creativa delle donne è rigorosamente confinata entro i limiti imposti da un’educazione convenzionale e rigorosa, che mette al primo posto il rispetto dell’etichetta. Una condizione annosa che la Woolf non mancherà di denunciare, e che sarà alla base della futura adesione al movimento femminista.
Segnata precocemente dalla morte della madre (1895, Virginia ha solo 13 anni) e della sorellastra maggiore, Stella, Virginia inizia a esprimere il suo talento relativamente tardi. Lei e la sorella Vanessa, pittrice, dovranno attendere la morte del padre per allontanarsi dal controllo morboso dei fratelli e aspirare a un po’ di indipendenza. Virginia finisce per sposare il giornalista Leonard Woolf. Il loro rapporto sarà animato da una profonda complicità e da un grande rispetto, e sarà proprio grazie alla devozione, alla stima e agli incoraggiamenti di quest’uomo mite, comprensivo e aperto, tanto diverso dal padre autorevole, che Virginia troverà il coraggio di realizzare la sua aspirazione alla scrittura. Nel 1913, stimolata anche dalle riunioni con gli intellettuali del gruppo Bloomsbury, completa il suo primo romanzo, “La crociera”, che uscirà nel 1915.
La stesura lascia Virginia esausta. Il marito le propone di mettere in piedi una piccola casa editrice, la Hogarth Press: è lo stimolo che la salva (almeno momentaneamente) dalla depressione. L’etichetta letteraria indipendente pubblicherà autori del calibro di T.S. Eliot, Katherine Mansfield, Italo Svevo, Sigmund Freud, Lev Tolstoj.
Nel 1922 pubblica “La camera di Jacob”, racconto ispirato alla morte in guerra del fratello Thoby, che segna il passaggio a uno stile destrutturato, impressionista, volto all’introspezione, più moderno. Nel 1925 esce “La signora Dalloway, che avvia un’escalation di successi, da “Una stanza tutta per sé” (1929) a “Le onde” (1931).
Il seme della letteratura, innato, ha dovuto attendere quasi 30 anni per fiorire, gettato in un animo sopito, solo in seguito forgiato (purtroppo) dai lutti e dallo spettro della depressione. Un male atavico dell’esistenza che sempre accompagnerà la scrittrice, e che infine la porterà al suicidio, spinta da quella precarietà dell’esistere che attanaglia l’uomo moderno, di cui i conflitti mondiali sono suprema espressione. Mentre le bombe naziste imperversano sull’Europa, Virginia Woolf muore suicida nel fiume Ouse, all’altezza di un piccolo villaggio del Sussex dove i Woolf si rifugiavano spesso. Lasciandosi trasportare dalla corrente, finalmente libera di scegliere, in un atto estremo di esercizio della propria volontà.