Se oggi nel mondo il BRICS (Brasile, Russia, India, Cina,Sud Africa) domina la scena economica mondiale, il vecchio Continente può vantare il glorioso primato di essere ancora il luogo in cui è nata la civiltà umana. La storia ha lasciato in molti casi una pesante eredità che mai scalfirà del tutto tensioni diplomatiche e rancori sociopolitici. E’ il caso dell’Eurasia, di quel vasto territorio che è ancora oggi luogo di frontiera tra Occidente ed Oriente. Sormontato dalla catena montuosa del Caucaso ed incorniciato dal Mar Caspio, in questo lembo di terra martoriato dalle lotte degli uomini e dalle afflizioni della natura, vibrante di cultura e vita, è nata l’Armenia. Fonti storiche scientificamente comprovate fissano le origini della civiltà armena in un periodo che parte dal 9000 A.C. dopo la scoperta di alcune tombe che denotano la presenza di una comunità estremamente organizzata. Il territorio armeno è stato palcoscenico di guerre intestine,che hanno visto combattere tra gli altri Gengis Khan, il grande emiro Tamerlano e Maometto II ma ha conosciuto anche i fasti di regni mitici ed aurei. Nel 301 l’Armenia, che si estendeva dal Mar Nero al Mar Caspio sino alle coste del Mar Egeo, diventa il primo Regno cristiano del Mondo. Anticipò in tal senso il popolo romano che decreterà in meno di un secolo il suo scisma dalla Chiesa Cattolica Romana con il Concilio di Calcedonia. Siamo nel 451.
Da allora la storia dell’Armenia è anche la storia della Chiesa Apostolica Armena che farà per sempre i conti con i fratelli della vicina Europa e degli imperi asiatici sino a riempire tra il XIX e XX secolo le pagine più fosche della Storia. Furono gli ottomani i primi a riconoscere l’enorme potenzialità e ricchezza del popolo armeno che, vittima della sua stessa religione, fu perseguitato senza sosta sino ad essere il primo popolo al Mondo oggetto di una operazione di pulizia etnica; sono gli anni dal 1915 al 1923.
Prima ancora di questo terribile e mai dimenticato massacro, la Russia si spartì con i Turchi gran parte del territorio armeno ormai strozzato tra Turchia a sud, Russia a nord e ad est, dividendo la popolazione in armeni ottomani ed armeni russi.
Questi eventi, sinteticamente riportati, rappresentano il background storico-culturale dello scrittore, poeta, saggista Avetik Sahak Isahakyan ancora oggi considerato l’emblema della storia contemporanea Armena. Conosciuto e studiato in Russia ed in Azerbaijan (paese che oggi è in perenne crisi diplomatica con la Repubblica Armena), Isahakyan vede i natali ad Alessandropoli (oggi Giumri) nel mese di Ottobre del 1875. Come membro di una famiglia colta e borghese compì i suoi studi classici in Germania, a Lipsia, dove iniziò adolescente ad interessarsi di politica.
Rientrato in patria nel 1895 a soli 20 anni entrò a far parte della neo costituita Federazione Rivoluzionaria Armena. Le esperienze di quegli anni ricordano per similitudine l’umana vicenda di Silvio Pellico. Come lo scrittore italiano, fu anche lui imprigionato per lunghi mesi perché fedele ai moti contro gli invasori, nel suo caso gli ottomani. Al termine di questa esperienza scrisse pagine di grande impegno civile di puro lirismo pubblicando nel 1897 la raccolta di poesie “Canti e ferite” che ebbe notevole eco tra la popolazione ed ancora oggi rigano di lacrime il volto di chi le legge. Gran parte della sua produzione letteraria ,che vanta anche la traduzione di importanti opere della cultura letteraria italiana come la Cantica del Purgatorio di Dante, è costituita dalla malinconia e dallo struggente amore per la propria patria,madre addolorata e contesa.
Ancora giovane, si recò nuovamente in Europa, in Svizzera, dove compì gli studi di Letteratura e Filosofia. Il ritorno in patria nel 1902 inaugurò una fase di impegno politico e letterario intervallato da arresti. Risale al 1906 l’uscita delle “Canzoni ai duchi”, una raccolta di poesie che ancora oggi fa parte della tradizione classica armena e due anni dopo fu arrestato con altri 158 intellettuali e rinchiuso nelle prigioni di Tiblisi (nell’attuale Georgia). L’Armenia occidentale in quegli anni era un governo autonomo sotto protettorato turco e per questo la libertà di cui godeva era solo sulla carta. Con altri intellettuali, quando poté lasciare il carcere, il nostro non smise di raccontare e mettere in guardia il suo popolo dalla minaccia di un piano persecutorio e vile che avrebbe portato ad una imminente tragedia. Si recò a Berlino dove con un gruppo di connazionali ed intellettuali tedeschi fondò l’associazione Mesrop, dal nome del sacrdote Mesrop Mashtots che ha la paternità dell’alfabeto armeno, da lui inventato nel 400 D.C.. La prima guerra mondiale portò i suoi lutti e svelò le orribili intenzioni dei Turchi che costrinsero ad un esodo forzato fuori dalla loro patria circa 1 milione di armeni, assassinandone con spietatezza almeno tre milioni. Isahakyan aveva profetizzato il genocidio della sua gente e da allora la sua missione è stata raccontare il dolore da una parte e l’eroica lotta per la libertà dall’altra. “Sulla cima invecchiata dell’ Ararat è venuto il secolo che è passato come un secondo ,le generazioni che ne hanno visto la cima sono andate via,adesso tocca a te : per un istante fermati e guarda la sua vecchia fronte, e vai…” In questi versi, tratti dal “Il mio cuore sopra le montagne” del 1941 c’è l’elemento patriottico della produzione di questo scrittore ed intellettuale che continuamente mette in guardia la sua gente dalle promesse politiche di vecchi e nuovi conquistatori. Negli anni “30 continuò i suoi viaggi all’estero, toccando anche Venezia, in qualità di ricercatore ed “amico” dell’Unione Sovietica mai pago di raccontare il genocidio del suo popolo.
Scrisse in quegli anni “Per l’Armenia” e l’opera rimasta incompiuta fino alla sua morte “Usta Karon” (Caro maestro) di cui disse : “ Usta Karon sarà completato quando sarà risolta la questione armena”. L’afflato intellettuale e l’amore malinconico per un mondo disgregato lo hanno reso un mito che ancora oggi è apprezzato dalle giovani generazioni armene che sognano un giorno di vedersi restituito tra le altre cose, quel mare che prima faceva parte del loro territorio. Ha lasciato in eredità alla sua gente ma al mondo intero, una testimonianza di dolore ed il monito ad imparare dagli errori della storia.Paragonandola a “Alle Fronde dei Salici” del nostro Salvatore Quasimodo, la poesia “La mia patria” contiene versi di grande pathos ed amore patriottico. Vale la pena leggerla integralmente:
Hey, mia patria, come sei bella !
I monti persi nell’azzurro delle nuvole
le acque buone, i venti sottili,
Solo i figli nel mare di sangue.
Morirei sulla tua terra , patria preziosa
Ma e’ poco morire con una vita
Me beato se avessi mille e una vita
tutte mille sacrificherei con il cuore per te.
E con mille vite morirò per il tuo dolore
Morirei per i tuoi figli , per tuo amore
Ma lasciami una vita sola
Per lodarti e incantarti
Come allodola volerei su e giù
all’inizio di un nuovo giorno, patria cara
e canterò dolcemente , loderò il tuo dolce
sole verde , patria libera !
Negli ultimi anni della sua vita ricevette onorificenze e premi per il suo impegno politico e le sue opere furono tradotte in molti paesi,specialmente in Russia. Il 15 Ottobre del 1957 morì nella sua Yerevan, la Capitale dello Stato Armeno.
Il suo ricordo è impresso oltre che in molte Piazze e Strade, sulle banconote da 10 mila Dram, la moneta armena.
Si ringrazia per la cortese e preziosa consulenza storico- linguistica la Dottoressa Armine Balayan, interprete e traduttrice armena.
Per approfondimenti si veda anche http://armenianhouse.org/isahakyan/isahakyan-en.html