Tremò la terra
come luccichio di fiori
inattesa, scombussolò la vita.
Morirono uomini, donne e bambini
nel trepidante solco del sonno.
Una mano tese la mano aperta verso la morte.
Urla, indignate al sole
maculavano di sangue
sogni infernali.
E la notte febbricitante di visioni
generò carne viva e poi morta.
Scivolando appena nel bagliore dell’acqua.
Tutta L’Emilia tremò di paura
lasciando il bistro pianto muto
all’ultima omelia delle nuvole.
Sfollavano le genti
come se la terra fosse da lontano
un formicaio.
Nella stragrande vacuità della materia,
un germe d’amore rinvigorì il mistero,
non più velato d’oblio, ma da dolci sorrisi.
E il fuoco fu la terra
e la paura velocità
senza più tremore di Maggio.
Senza più il corno vuoto,
gloria zebrato
miracolo senza misericordia.
Con le mani tese al cielo
un bambino rabbrividì
una madre deglutì, un uomo morse il ferro.
Non vi furono più giorni lieti
come il miele ai pettirossi,
ma brusio di tempesta e un mare nero.
Parla la morte al vento
come dama all’uragano dell’aria
come viso assente sulla nuca del vero.
Abbaglio immobile
sulle mani del simbolo
come occhi dallo sguardo remoto.
Sull’orizzonte invisibile
sospeso nel niente
tra il fiordaliso e il mare.