La morte non è uguale per tutte le cose: ci sono oggetti che cominciano a invecchiare solo dopo aver attraversato la morte. Un giocattolo invecchia dopo che si è rotto, dopo che è morto.
Chi ha letto almeno un libro dello scrittore napoletano Erri De Luca sarà in grado di riconoscerne lo stile anche solo concentrandosi su poche righe su un altro lavoro, prima ancora di sapere che appartiene a lui; perché Erri De Luca è inconfondibile, con la sua penna che, quasi fosse un coltello, taglia le parole sviscerandone il significato profondo, il tutto basandosi sulla sua capacità di essere diretto, semplice, preciso; niente ghirigori nei suoi racconti, niente di artificioso: arriva diretto alle cose, come un colpo. Uno di questi colpi porta il nome di “Non ora, non qui“, un lavoro di memoria che Erri De Luca scrive nel 1989, capace di dare nuovo colore al passato. E’ proprio di questo che si parla: della sua infanzia a Napoli, dei vicoli, delle persone, delle esperienze che l’hanno segnato a partire dalla sua balbuzie, ostacolo alla comunicazione specie con i suoi compagni di classe, tra i quali si sentiva poco integrato; ed ancora il rapporto con il padre, intento a radersi di fronte ad un specchio raddoppiando in questo modo la sua autorità; con la vita che va troppo veloce rispetto ai suoi tempi ; con la voglia e la paura di prendere una nuova strada in una realtà di navi ancorate al porto che manifestano una nuova ricchezza ; e quello con le donne, cominciato intorno ai trent’anni, perché prima di allora l’unica donna della sua vita, capace di influenzarne le scelte, era la madre. Alla madre è di fatti dedicato questo lungo racconto privato: niente sentimentalismi ma una prosa diretta e asciutta che introduce il lettore, da subito, nella realtà della memoria del De Luca che trova l’espediente di parlare di se’ alla madre attraverso una foto.
Tra madre e figli non accade il progresso, non si evolve la civiltà: le parole saranno sempre poche e saranno solo parole, rare, conservate. Non sostituiscono niente, né i colpi né le carezze.
Un’infanzia di regole nella Napoli del dopoguerra: i limiti, le costrizioni, i continui sensi di colpa e di disagio nel trovarsi al posto sbagliato, al momento sbagliato, nel dover attendere perché “non ora, non qui” sembrava ripetergli la madre di continuo. Poi rimane orfano e il ricordo non consola la perdita. Benché ci siano una serie di particolari che gli tornano alla mente, questi non formano un ricordo e i ricordi insieme non sono passato.
Che io non ti faccia torto: non c’era altro passato che quello. Ti toccò un figlio non adatto ai doveri che avevi in serbo per lui, un bambino confuso che accumulava pezzi di identità nel gioco del fraintendimento con te. Mi torna alla mente il passato con parvenza di intero, per un bisogno di appartenenza a qualcosa,che stasera mi spinge verso di esso,verso una provenienza.”
L’incontro con la moglie, la seconda donna della sua vita; la seconda madre; il rapporto con la sua malattia, il loro amore e poi…. Erri rimane orfano una seconda volta.
In tutto il suo racconto non c’è mai un momento nel quale lo scrittore cede a sentimentalismi fuori contesto: le sue pennellate nitide e decise ci raccontano di lui come se a parlare fosse un vecchio amico, diventato adulto al quale, alla maniera proustiana, serve un espediente per riaccendere, quasi in maniera involontaria, un ricordo. L’espediente è la foto, il ricordo è la vita, l’ascoltatore la madre ed il lettore è lì, quasi a spiare questa lunga chiacchierata dove lo scrittore si mostra per quel che è.
Alla fine del libro si può dire di aver passeggiato per quei vicoletti di Napoli insieme a lui…