E sono quarantuno. Non gli anni, i racconti, dico. Quelli a puntate, quelli frutto di un attimo. Nati dall’indignazione, scritti per rabbia sociale, per tristezza, per nostalgia, per desiderio di perdersi in un sogno. Il giallo in cinque fiori, la poesia a un figlio non più nato, la voglia folle di mostrare i propri sentimenti, nudo tra troppi lettori vestiti. Chissà se un tag o un occhiello sono davvero più importanti delle righe scritte per amore; chissà se conta un’ora di pubblicazione o un’invenzione. Me lo chiedo sempre, come tutti quelli che eseguono ordini di altri, salvo scoprire che al timone non c’è più comandante. Non ho avuto estate, non ho avuto inverno, ma solo le diciassette del mercoledì. Poco meno che solo, poco meno che felice. Ora scopro l’isola dei pensieri, circondata da un mare profondo di grettezza. Qui mi godo un esilio non scelto, dove ogni racconto sarà un messaggio un bottiglia o un lampo nel silenzio. Sempre più flebili, sempre di meno, fino a scomparire. E ad essere, come è giusto che sia, dimenticato.