Prima che io vada avanti, c’è una cosa che dovete sapere. In origine, la mia idea era quella di cominciare un blog nel quale avrei raccontato la mia difficoltà di vivere con un cervello da scrittore e le capacità letterarie di un manovale. O qualcosa del genere. Ma come sempre, non avevo fatto i conti con il suddetto cervello da scrittore. Evidentemente, deve essersi accorto del mio piano; deve avere capito che intendevo denunciarlo e sputtanarlo presso una platea – potenzialmente – vastissima. Così quello stronzetto ha deciso di vendicarsi. Più io penso a come raccontare di quanto mi abbia rovinato la vita – trasformata, dai; non esageriamo -, più lui continua a suggerirmi storie che mi sembrano meravigliose, e idee con le quali prendere per mano tutti voi che ogni martedì alle cinque decidete di rubare un po’ di tempo al lavoro (oh, quanto vi ammiro per questo), e portarvi in un altro posto.
Come sempre, alla fine ha vinto lui.
“Mi chiamo Paola, faccio la barista, e ho le tette grosse. E anche se questa non è la prima cosa che racconterei di me, è da sempre la prima cosa che chiunque nota quando mi incontra. Saranno già cinque anni che le detesto, queste borse schifose che non stanno più su da sole, e quasi non riesco più a guardarmi allo specchio da svestita senza voltare la testa dall’altra parte. Ma gli uomini ci impazziscono ancora dietro; dai vecchi bavosi che vengono a bere il primo china martini della giornata alle sette e mezzo del mattino, ai ragazzini che entrano in gruppo vergognandosi e nascondendosi uno dietro l’altro, e finiscono per ordinare due coche e un’acqua minerale anche se sono in quindici.
In questo preciso momento sto asciugando i bicchieri che non ho mai capito bene perché, in questo bar escono dalla lavastoviglie pulitissimi, ma bagnati fradici. Fa parte dei miei compiti, proprio come sorridere a chiunque e indossare magliette attillate e più corte possibile, anche se ormai i rotolini di ciccia mi spuntano dai jeans e tentano di arrampicarsi verso l’ombelico, piccole onde di un mare che comincia a salire controcorrente. Ma chi li vede, i miei rotolini. Certe volte penso che potrei dipingermi sulla fronte frasi come “Che cazzo guardi, pezzo di merda?”, e nessuno se ne accorgerebbe comunque. Giusto mia madre lo noterebbe, se facessi una cosa così. Gli altri, sguardo fisso sul mio davanzale. Lo sapete come mi chiamano qui in paese, quando volto loro le spalle? Nicole, come la Minetti. Ma mica perché sia bella come lei, no. E neanche perché mi sono arricchita dandola alla gente giusta. Il mio peccato è semplicemente quello di stare insieme al sindaco del borgo vicino, un buco di tremila anime che d’inverno si riempie di gente per le piste da sci. Solo che Renzo, a differenza di Silvio, non ha neanche le lacrime per piangere, e se non gli dessi una mano io a pagare l’affitto finirebbe sotto un ponte. Eccola, la vostra Minetti.
C’è stato un tempo che volevo andare via, da qua. Anzi, ci avevo pure provato. Dopo avere finito le professionali ero scesa in pianura con la Betty, la figlia del padrone dell’occhialeria, e insieme avevamo cominciato economia e commercio. Prima di dare il primo esame, mio padre si è ammalato, e io sono tornata su per vedere come stava. E’ morto dopo sette mesi e dodici giorni, e io non mi sono più mossa da qui. La Betty invece si è laureata, fa la commercialista e ha tre figli belli come il sole. Comunque non mi lamento. C’è a chi è andata peggio, da queste parti, e adesso con la crisi vengono tutti a lamentarsi qui da me. Potranno mancargli i soldi per la benzina, magari, ma quei cinque euro per due ombre riescono sempre a trovarseli in tasca. Anzi. Il paròn dice che più le cose peggiorano, più noi lavoreremo. E fa anche un po’ allegria, trovarsi il bar pieno alle undici di mattina di un mercoledì. Certo, vorrei che gli uomini la smettessero di fissarmi le tette, ma nella vita non si può avere tutto.”
Ecco. A meno che qualcuno non paghi il riscatto e il mio cervello mi lasci nuovamente libero di scrivere quello che avevo in mente all’inizio, per qualche puntata vi toccherà la storia di Paola e della sua gente. Di questi tempi, va così. Alla prossima.