Al mattino, lei lo guardò in maniera strana, con un rispetto strano, malinconico, e disse: “Sai George? Hai proprio preso l’abitudine di amare.”
“Che vuoi dire, cara?”
Lei lo abbracciò con uno sguardo, e sorrise. “Tu vuoi qualcosa da tenere tra le braccia, ecco tutto. Che cosa fai, quando sei solo? Ti stringi a un cuscino?”
La figura di certi scrittori è avvolta da una misteriosa nuvola a cui ognuno dà il suo colore.
Ci si aspetta che quel colore resti sempre della stessa tonalità, e quando ci sembra non la rispetti, lo prendiamo come un tradimento personale:
“Perché non ha scritto esattamente quello che mi aspettavo scrivesse?”, ci domandiamo.
Così, da una scrittrice del calibro di Doris Lessing, che il Nobel l’ha vinto suo malgrado, ci attendiamo una sferzante, diretta e chiara prova di femminismo.
Per questo, probabilmente, sono in pochi ad apprezzare “L’ Abitudine di Amare”, un’opera che racchiude diverse storie legate da un unico tema, l’amore, in cui la complessità dei rapporti umani va ricercata e interpretata nelle sfumature.
La linea combattiva e nettamente contrastante, che divide con una chiarezza disarmante il bianco e il nero, giusto e sbagliato, tipica di altri suoi romanzi, in questi racconti si confonde, lasciando al lettore il dovere di formarsi un’opinione.
Questa è Doris Lessing. Schiva, sfrontatamente intelligente, e dotata di una sensibilità per i caratteri disarmante.
“L’abitudine di amare”, primo racconto, dà il titolo alla raccolta.
Un uomo di successo, George, arrivato al limite delle sue forze. Una vita passata a correre da un letto all’altro, divorziato da una donna ripetutamente tradita, innamorato, non corrisposto, di un’altra donna che non vede da cinque anni.
Solo, davanti allo specchio, George osserva la sua figura affievolirsi, invecchiare.
La solitudine si trasforma in un male di vivere che si aggrappa al suo cuore come un cancro, fino all’arrivo di una giovane donna di 35 anni, che sposa nella speranza di godere della sua fresca giovinezza.
L’abitudine di amare è lo specchio distorto attraverso cui George osserva la sua vita.
Un’immagine idealizzata di amori mai esistiti, di felicità mai conquistate.
Come un’occhio incapace di mentire, più volte osserverà da quello specchio le comparse della sua vita muoversi come su un palcoscenico.
Quella frase, “l’abitudine di amare”, disturba George perché ne riconosce la verità. Le donne della sua vita non sono state altro che riproduzioni della sua mente, come un cuscino da abbracciare per non sentire il freddo della realtà.
Dai cenni di esperienze autobiografiche, al racconto di due medici inglesi approdati in Germania alla ricerca del passato nazismo, Lessing ripropone delle storie descritte con irriducibile lucidità, in una rappresentazione del carattere umano profondamente accurata e mai eccessiva.
L’abitudine come maschera di cui vestiamo il mondo, rendendo l’amore, il filo conduttore di ogni racconto, un’ideale destinato a scontrarsi con la realtà, interpretato nelle diverse sfaccettature.
Enigmatica come un puzzle che non si rivela fino all’ultimo tassello, quest’opera va assaporata in ogni riga e letta d’un fiato.