Ci siamo. Anche quest’anno l’Accademia Reale Svedese ha assegnato il premio Nobel per la letteratura. Il vincitore è lo scrittore cinese Mo Yan (che in lingua originale significa “colui che non vuole parlare”), pseudonimo letterario di Guan Moye.
«Per il suo magico realismo che mescola racconti popolari, storia e contemporaneità», questa la motivazione che ha spinto i giudici ad assegnare il premio all’autore di Sorgo Rosso. Al contrario del suo predecessore, il primo connazionale a vincere il Nobel, Gao Xingjian, Yan ha sempre vissuto in Cina e del suo paese ha tracciato pregi e difetti nelle proprie opere. Ed è il realismo che lo contraddistingue ad essergli valso l’ambito premio.
Tanti gli scrittori che prima di lui hanno visto il loro nome affiancato a un simile riconoscimento. Tanti quanto le personalità e i meriti che li hanno contraddistinti. Fino ad ora ne sono stati assegnati 108, di cui solo undici a donne.
Si è verificato che in ben due occasioni i “designati” abbiano declinato il premio. E’ il caso di Jean Paul Sartre, insignito nel 1964. Oppure di Boris Pasternak, costretto però a rifiutare, nel 1958, dal governo dell’Unione Sovietica.
Talvolta (esattamente nel 1904, 1917, 1966, 1977) si sono avuti due vincitori.
Altre volte – sette per la precisione – non è stato assegnato a nessuno.
Aldilà delle statistiche e dei pronostici, ci sono scrittori che restano inevitabilmente nella memoria per l’incredibile apporto che hanno dato al patrimonio culturale internazionale.
Si pensi a Ernest Miller Hemingway, Premio Nobel 1954, premiato “per la sua maestria nell’arte narrativa, recentemente dimostrata con Il vecchio e il mare e per l’influenza che ha esercitato sullo stile contemporaneo”.
Si racconta che, ricevuto il premio, lo scrittore abbia detto: «Troppo tardi!»
Oppure si pensi al “nostrano” Eugenio Montale, premiato nel 1975, per la sua interpretazione del reale fuori da ogni illusione, attraverso una poesia fatta di sensibilità e originalità artistica. La sua parola è levigata, asciugata, come gli scogli di Monterosso. La sua parola è capace di spingersi più in là, in un “altrove” che è metafisica. Egli è stato l’interprete più alto della condizione esistenziale dell’uomo.
Anche il colombiano Gabriel Garcia Marquez fu Premio Nobel per la Letteratura nel 1982; egli contribuì a rilanciare la letteratura latino americana attraverso la combinazione di realistico e fantastico, riflettendo la vita e i conflitti di un continente. Cent’anni di solitudine raccoglie le storie di sei generazioni diverse che esplicano il cosiddetto Realismo magico, attraverso spunti quotidiani, fantastici, esoterici, psicanalitici, e tanto altro.
Tra i nomi più recenti, ma non meno importanti, compare, nel 1998, l’imponente figura di José Saramago, che ha ribaltato il senso comune attraverso parabole frutto di una fervida immaginazione, di compassione e ironia, riuscendo ad afferrare una realtà illusoria. Di lui hanno detto: “Il Maestro è uno degli ultimi titani di un genere letterario in via d’estinzione”. Le sue posizioni hanno suscitato non poche controversie, specie nel campo della religione – da ateo, ha parlato di un Dio “vendicativo, rancoroso, cattivo, indegno di fiducia”.
Gli scrittori sono tanti, ci sono William Butler Yeats, George Bernard Shaw, Luigi Pirandello, Thomas Stearns Eliot, Albert Camus, Samuel Beckett, Pablo Neruda, Wislawa Szymborska. E altri ancora.