Ti avvicini alla scaletta esitante, un fogliaccio di carta in una mano e un microfono nell’altra. Poi sali quei quattro gradini, e ti trovi di fronte a un mare di luci che ti esplodono negli occhi, e l’applauso è assordante e inatteso. I quattro siedono dietro a un bancone enorme, trasparente e illuminato nella parte superiore; due uomini e due donne, gusti e idiosincrasie completamente diverse tra loro. In qualche modo, però, li dovrai convincere. Essere te stesso? Fingere? Ogni strategia ti si potrebbe rivoltare contro, perciò hai deciso di fare quello che sai fare meglio. Improvvisare.
Sorridi e saluti, e pensi che per il momento non è andata poi così male. La donna più anziana, quella che a sorpresa può trasformarsi in una iena, sembra avere una giornata sì. Speri di farle un po’ pena, perché lo sai che adora i casi umani. Solo che ti sta guardando un sacco di gente, sia lì che a casa, e allora come fai a inventarti una storia lacrimevole? E poi ce l’hai scritto in faccia, che non vieni dal Kosovo e non hai mai dovuto saltare un pasto in vita tua. A parte le diete, ma quelle non contano. Concentrati, dai, che ora il microfono ce l’ha l’alternativo. Con lui non si sa mai come mettersi, perché una volta predilige i fuori di testa che danno di matto sul palco, l’altra si commuove mettendosi a parlare del padre scomparso da poco. Vabbè, si droga, non è che si possa pretendere.
Ok. L’hai sfangata. Ora si è riappoggiato alla poltrona e ti ha detto sentiamo cosa ci hai portato? E allora è venuto il tuo momento. Ti schiarisci la voce, avvicini il microfono alla bocca, e parti.
“Mezzanotte e un quarto era un’ora schifosa, nella sua città. Quelli che andavano a letto presto si erano già rintanati nelle loro casette, le donne sotto le coperte e gli uomini a guardare di nascosto i porno su Sky. Quelli che vivevano, invece, non erano ancora usciti di casa, perché i locali erano chiusi. Così gli toccava passeggiare per il centro con l’aria vaga di uno che ha dimenticato di comprare qualcosa, ma non ricorda esattamente cosa sia. Solo che in un deserto medievale illuminato da luci arancioni non c’è proprio niente da comprare, a quell’ora lì. Perciò si era procurato un cane. Che dormiva tutto il giorno, mangiava troppo, ma quantomeno gli dava un alibi per uscire la notte senza sembrare un pervertito. Quella sera in particolare, Conan non aveva nessuna voglia di passeggiare. Aveva dovuto insistere per ficcargli il collare, aveva dovuto inseguirlo per agganciarci il guinzaglio, e ora se lo trascinava per i portici antichi come un trolley all’aeroporto.”
Cosa c’entra tutto questo con un blog sulla scrittura? Beh, a parte il fatto che la roba qui sopra sarebbe un incipit (creato per l’occasione, eh; che i racconti e i regali non vanno riciclati), mi sono definitivamente convinto di una cosa.
Se i provini di X Factor non vi commuovono ogni singola volta, se non pensate a come sarebbe stare davanti a quattro giudici con il vostro romanzo fra le mani e la possibilità di pubblicarlo con Hodder & Stoughton (eddai, se bisogna sognare, sogniamo in grande) in una tiratura iniziale di centomila copie, beh, allora i casi sono due.
O non siete scrittori, o – se lo siete – vi è andata bene al primo colpo.
In entrambi i casi, avete tutta la mia invidia. Alla prossima.