Io sono la mia malattia e la mia cura.
“Stabat mater” di Tiziano Scarpa ha vinto il premio Strega nel 2009.
Stabat mater è nella mia libreria da qualche anno, ma io sono riuscita a leggerlo solo adesso. Perché? Probabilmente non ero pronta. Ricordo di averci provato: ho toccato la copertina, guardato con più attenzione il bellissimo violino che aveva attratto la mia attenzione in libreria. Ho lasciato che i miei occhi scorressero la prima pagina, poi ho chiuso. All’epoca non ero pronta ad accogliere e gestire l’angoscia in cui il romanzo trascina fin dalla prima riga.
Ma avevamo un conto in sospeso, io e questo libro. Così ci ho riprovato. L’angoscia si è affacciata (di nuovo) immediatamente, ma stavolta mi ha accompagnato silenziosa durante tutta la lettura, senza disturbare.
Così i miei occhi, il mio corpo, il mio stomaco sono diventati quelli di Cecilia, l’orfana che racconta in prima persona -attraverso lettere indirizzate a una madre che non ha mai conosciuto- la sua storia, i suoi pensieri, la sua paura.
Cecilia è una delle ragazzine che abita l’Ospedale della Pietà di Venezia, uno degli ospedali femminili più famosi del capoluogo, dove trovano assistenza i bambini orfani o disagiati. Qui tutte ricevono un’educazione musicale; la protagonista suona il violino ed è una delle allieve più promettenti.
Tuttavia, la mancanza di radici e punti fermi non riesce ad essere colmata nemmeno dalle note. Cecilia dorme poco, prende per mano il suo dolore e ci parla, scrive alla madre che non ha, mettendo nero su bianco le sue domande, i suoi pensieri, la sua sofferenza. In questo, Tiziano Scarpa è stato magnifico.
All’improvviso, un nuovo maestro: un giovane prete dai capelli rossi, Antonio Vivaldi. E così, nuovo modo di vivere la musica, nuovi spartiti, nuove esperienze per le allieve dell’Ospedale. Con Cecilia il rapporto è conflittuale; all’inizio non comprende il maestro, il suo strano egocentrismo, i suoi metodi, la sua (apparentemente ingiustificata) crudeltà. Eppure saranno proprio le composizioni di Vivaldi, la nuova musica partorita dalle sue mani, a risvegliare la ragazza dal torpore.
Quando ho chiuso il libro, ho avuto proprio la netta sensazione di essermi arricchita. E’ un romanzo che lascia qualcosa, che non fa rimpiangere i (non pochi) soldi spesi e il tempo dedicatogli.
Lo scrittore ha deciso di omaggiare, in questo modo, il grande compositore veneziano, ma anche il luogo della sua nascita: il reparto di maternità dell’Ospedale civile di Venezia, ospitato proprio nella sede dell’antico Ospedale della Pietà.
Scarpa è un uomo, Scarpa ha avuto una famiglia. Eppure, nel dar vita a Cecilia è riuscito ad annullare qualsiasi differenza.